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mercoledì, Set 16

Perché #Alive è il film più visto di Netflix



Da Wired.it :

A soli due giorni dal debutto, il sorprendente zombie movie coreano è già il più visto della piattaforma. I motivi del successo sono almeno cinque e uno si chiama (ancora) Parasite

A distanza di soli due giorni dal debutto su Netflix, #Alive è il film più visto della piattaforma al mondo. Lo riporta il KoreaTimes, che a sua volta ha come fonte FlixPatrol, sito specializzato nel monitorare i ratings dell’on-demand di 83 stati. L’horror coreano è il più cliccato negli Stati Uniti, in Francia, Spagna, Svezia Russia, Australia e altri paesi raggiunti dal servizio, il che fa dello zombie movie di Cho Il-hyung il primo lungometraggio asiatico a conquistare il primato. #Alive è incentrato su due soli protagonisti: il primo è Joon-woo, game streamer che vive con i genitori in un appartamento collocato in un complesso molto popoloso. Preso dalle attività online mentre si trova da solo a casa, non realizza immediatamente che in città è scoppiata un’epidemia zombie e rimane bloccato nell’appartamento, l’unico ancora umano in tutto il quartiere. #Alive è dunque la cronaca delle peripezie di Joon-woo per superare gli infiniti ostacoli che si parano tra lui e la sopravvivenza, così come quelli di Yu-bin, solitaria dirimpettaia dalle mille risorse. Ok, ma come mai è il film più visto di Netflix?

1. Uno zombie movie diverso

Quanti film sono stati realizzati sfruttando questa creatura del folclore haitiano che spopola nel cinema di genere? Centinaia, e non solo prodotti da Hollywood: i registi di tutto il mondo si sono cimentati in produzioni dove virus in grado di trasformare gli uomini in cannibali li conducono verso l’estinzione. Gli horror orientali, in particolare giapponesi, sono tra i più spaventosi esistenti (ricordate Dark Water, Jo-on o Ringu?), ma nell’ultimo decennio anche la Corea del Sud ha sfornato esemplari pregevoli come Train to Busan, una ventata di aria fresca per i fan degli zombie. Il suo seguito, Peninsula, che ha esordito quest’estate in Asia, è stata una delusione, un’americanata derivativa senza un’idea originale. #Alive, al contrario, ha dalla sua, come Train to Busan, un’ambientazione amena – gli spazi chiusi dei corridoi che uniscono gli appartamenti del complesso dove abitano Joon-woo – che si presta a piacevoli soluzioni narrative e stilistiche, ovvero ciò di cui ha bisogno un sottogenere inflazionato come quello sui morti viventi. Il senso di paranoia dell’isolamento, la claustrofobia, l’ansia dei viveri che finiscono e la fantasia degli espedienti messi appunto dai protagonisti sono tutti elementi vincenti di #Alive.

2. Il formato giusto

Quella di Cho Il-huyng è nata come produzione cinematografica: in patria è stata distribuita in sala con con ottimi riscontri. Tuttavia, #Alive è il film perfetto per il tipo di fruizione elargita da una piattaforma digitale come Netflix. L’horror è uno dei pochi generi del grande schermo che sta meglio su quello piccolo di casa propria, inoltre #Alive è rivolto principalmente a un pubblico giovane e la sua durata – un’ora e mezza circa – è ideale per fare del titolo l’aperitivo di una serata a casa tra amici per godersi qualche risata insieme dopo aver sobbalzato dal divano. Guarda caso l’altro lungometraggio con cui #Alive si contende lo scettro di più visto di Netflix è The Babysitter – Killer Queen, un teen movie horror.

3. Sull’onda di Parasite

Da quando Parasite ha vinto l’Oscar, il cinema della Corea del Sud in generale è al centro dell’attenzione. Eppure, film coreani erano tra i migliori a livello mondiale anche prima, almeno da quando – all’inizio del nuovo millennio – la censura locale ha allentato le maglie concedendo ai cineasti del proprio Paese di dare sfogo alla creatività. Molto del cinema coreano è debitore a quello di Hong Kong, (quasi) perito causa la restituzione della colonia britannica alla Cina negli stessi anni in cui si attestava l’Hallyu, la Nouvelle Vague coreana. Dunque, #Alive deve di sicuro una parte della propria visibilità al successo di Parasite, ma solo una parte. Anche i film più derivativi – che siano dei cult di Hong Kong o dei blockbuster americani – spiccano per l’inventiva degli autori, e #Alive non è da meno, nonostante appartenga a un sottogenere battuto fino all’inverosimile.

4. Yoo Ah-in e Park Shin-hye

Un film come #Alive, tutto sulle spalle di due solo attori, è un azzardo e una scommessa. Gli unici personaggi (vivi) che compaiono sono praticamente Joon-woo e Yu-bi, l’hikikomori dei videogiochi e l’ex hiker che vive da reclusa dopo un incidente in alta montagna. Se gli interpreti non riescono a far investire emotivamente il pubblico nei confronti dei loro personaggi, la voglia di continuare a guardare la pellicola se ne va dopo poco. Al contrario, i due giovani protagonisti, sono di quelli per i quali tifi subito anche grazie al sommesso carisma di Yoo Ah-in e Park Shin-hye. Entrambi non particolarmente accattivanti di primo acchito, alla fine si arriva a fare gli scongiuri per loro. Bravissimo Yoo, attore lanciato a livello internazionale da Burning (in concorso al Festival di Cannes), che si è imposto scelte professionali audaci come quella dell’infimo villain del cop movie Veteran. Park è un volto conosciutissimo dei k-drama, incluso il popolarissimo The Heirs e il più recente Memories of the Alhambra, produzione originale di Netflix.

5. L’altruismo che non ti aspetti


Tra gli estimatori dell’horror, i più si accontentano di saltare dalla poltrona per lo spavento, ma il genere prevede spesso da una componente di critica sociale o politica che va oltre il mero intrattenimento. #Alive non ha grandi pretese in questo senso, basta la sua originalità a renderlo memorabile, tuttavia un altro elemento lo distingue: l’altruismo dei protagonisti. Il sottogenere dedicato ai morti viventi ci serve normalmente situazioni estreme che trasformano l’esigenza di sopravvivere degli umani in bieco egoismo. Joon-woo e Yu-bi non si sono erano incontrati prima, ma sono solidali fin da subito nonostante il carattere solitario di entrambi. L’inizio della loro relazione è disseminato di inaspettati gesti di generosità: Yo-bin che attinge alle proprie scorte alimentari per non lasciar morire di fame uno sconosciuto come Joon-woo, lui che rinviene un preziosissimo barattolo di Nutella e ne sacrifica metà per spedirlo all’amica, e addirittura quest’ultima che devolve una parte dell’acqua razionata alla sua piantina. Un horror che commuove è sempre qualcosa di sorprendente. Più avanti si assiste a manifestazioni più eclatanti e rischiose, che non riportiamo per ragioni di spoiler, ma che provano come #Alive non sia il solito lavoro sugli zombie che denuncia la disumanizzazione di chi è disposto a tutto per sopravvivere – l’ennesimo laconico The Walking Dead –, bensì il manuale del buon survivalista.

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[Fonte Wired.it]