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martedì, Gen 19

Perché Dawson’s Creek piace ancora



Da Wired.it :

Teen drama di culto degli anni ’90, la serie che ha lanciato Michelle Wiliams e Joshua Jackson – e non solo – è entrata a far parte della libreria di Netflix nel weekend ed è già nella Top Ten dei più visti della piattaforma

Lo scorso weekend uno dei teen drama più celebrati di sempre, Dawson’s Creek, è entrato ufficialmente a far parte della libreria di Netflix accanto ad altri cult giovanili del piccolo schermo, da Willy il principe di Bel Air a Gossip Girl. Show seminale di fine millennio – è andato avanti per sei stagioni tra il 1998 e il 2003 – era la cronaca della vita quotidiana di un gruppetto di teenager che vivevano in una località balneare del Massachussets, lontano dall’esistenza frenetica dei protagonisti dei teen drama odierni. Trascorsi una ventina d’anni, questa serie quasi casta e a prova di censura può apparire ai millennial come una produzione vecchia di un secolo, così lontana dai toni estremi o scabrosi di serie come le successive Skins, Chewing Gum e Euphoria. Eppure, ancora oggi i meme di Dawson che piagnucola sono tra i più embeddati del pianeta e questa serie che mostra chiaramente il peso degli anni, nell’arco di un solo weekend di programmazione su Netflix, è diventata uno dei programmi più visti della piattaforma di streaming. Come mai?

Inizialmente, la causa principale va riconosciuta nei personaggi e nei rispettivi interpreti: il creatore di Dawson’s Creek, Kevin Williamson, un po’ per talento un po’ per fortuna, riuscì a mettere insieme un gruppetto di interpreti bellocci dall’alchimia innegabile e dal fascino naturale nati per il successo, dalla pluricandidata all’Oscar Michelle Williams alla dea del gossip Katie Holmes, dall’immarcescibile Joshua Jackson fino a James Van Der Beek, oggi icona dei social.

I giovanotti della bucolica Capeside di Dawson’s Creek – la ragazza di città spregiudicata e autodistruttiva, il teenager appassionato di cinema malmostoso e frignone, l’amico ribelle, romantico e audace, la virginale santarellina – sono archetipi in cui si possono riconoscere anche le generazioni cresciute nel ventunesimo secolo. Anzi, fanno parte di una tipologia di personaggi “normali” che nei teen drama odierni tende a mancare, sostituiti da personalità più sopra le righe, smaliziate (soprattutto a livello sessuale), ipersocializzate e decisamente meno idealiste.

I protagonisti spaesati e in crisi dei teen drama odierni sono lo specchio dell’adolescenza contemporanea, ma la loro esistenza non fa altro che girare il dito nella piaga ricordando a questa generazione quanto le contingenze storiche recenti le hanno tolto in termini di idealismo e speranza nel futuro. Diventa quindi più facile sentirsi attratti da Dawson’s Creek non solo per il pubblico originale, oggi adulto, ma anche per i teenager che vi si avvicinano per la prima volta.

 Il successo ritrovato di Dawson’s Creek è anche una questione di tempismo e contingenze. La lentezza un po’ polverosa dei suoi ritmi narrativi che rispecchiava quelli tutt’altro che frenetici della quotidianità dei protagonisti, così lontana da quella odierna, si rispecchia anche nella lunghezza delle stagioni che compongono la serie. Le piattaforme di streaming come Netflix e Amazon ci hanno educati al binge-watching: una singola stagione è composta da una decina di episodi di quelle che, di fatto, più che serie sono film spezzettati in capitoli, atte a prestarsi a una fruizione condensata – la famosa tirata del weekend – che giustifica il puntuale debutto dei nuovi show di venerdì. Questo tipo di format, per la natura stessa di una narrazione così concentrata, richiede livelli di attenzione più alti in tempi più brevi.

Non esiste per questo tipo di serie un fisso dovuto di episodi filler, (ovvero “riempitivi”) che spezzano la compattezza della diegesi orizzontale; al contrario, Dawson’s Creek fa ancora parte delle serie in formato da network, il quale sottende a stagioni di almeno una ventina di puntate con un andamento narrativo molto meno serrato, episodi che potevano tranquillamente essere saltati senza perdere il senso della storia e di conseguenza un livello di attenzione più blando  e meno continuativo. Dawson’s Creek è uno show che si può godere centellinandolo in tutta tranquillità, il formato ideale per la ritrovata lentezza a cui la pandemia degli ultimi mesi ci ha costretti. Gli adolescenti del 2021 che hanno dovuto rinunciare a un’esistenza scandita dal calendario scolastico possono concedersi una fruizione distribuita su tutta la settimana senza scalmanarsi a sorbirsi un’intera stagione in un weekend.

A essere senza tempo, invece, di Dawson’s Creek, è il fascino del triangolo amoroso., nello specifico quello che includeva Dawson, Joey e Pacey. La liceale inesperta, timida e impacciata (Joey) divisa dall’attrazione per l’amico perfettino, rassicurante e di buona famiglia ma insicuro e soporifero (Dawson), e l’outsider impavido, ombroso e tormentato (Pacey) si inscrivono in quel tipo di intreccio romantico che piace e piacerà per sempre. E Dawson’s Creek è il teen drama che ha trattato meglio l’argomento. Questa è anche uno dei primi show americani ad andare incontro a un’evoluzione: con il trascorrere delle stagioni la serie dei bravi ragazzi Dawson e Joey è diventata sempre di più la serie che la gente guardava per i “non troppo bravi” ragazzi Jen e Pacey.

Il loro percorso era più sofferto, adulto, movimentato e interessante. Anche quando i personaggi, con l’arrivo all’università, hanno intrapreso percorsi che andavano oltre le dinamiche del triangolo amoroso introdotto dalle prime stagioni, quella disamina dei loro dubbi e tormenti resta la migliore, più autentica e più rapportabile tra quelle mai narrate in una serie per adolescenti, nonché il fulcro di una narrazione di personaggi più vicini agli afflitti protagonisti odierni dei teen drama.

Last but not least it, a essere intramontabile è il fascino nostalgico degli anni ottanta e novanta, quello che scatena ogni dieci anni le richieste insistenti del pubblico di realizzare reunion degli attori del cast di serie cult. Naturale che la generazione cresciuta con Dawson lo ami, ma lo show può piacere ai più giovani grazie alla cultura popolare del decennio in cui Dawson’s Creek è stata prodotta. A partire dalla musica, quella che compone la colonna sonora zeppa di hit degli anni ’90 della serie. Lo dimostra anche il fatto che la sostituzione (per ragioni di royalties) da parte di Netflix della mitica sigla di apertura di Dawson’s Creek, I Don’t Want to Waitha fatto insorgere gli utenti della piattaforma che hanno riversato le proprie rimostranze nella rete. Mai scherzare prendere sotto gamba i cult.

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[Fonte Wired.it]