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giovedì, Ago 06

Perché dovete guardare Tumbbad, l’horror che Prime Video non vi consiglierà



Da Wired.it :

Dal 2018 ad oggi si è fatto strada contro tutti i pregiudizi e con la forza di idee, storia e un modo tutto suo di piegare i miti popolari in horror

È arrivato su Amazon Prime Video un film di cui pochissimi hanno sentito parlare quando due anni fa ha aperto la Settimana della critica di Venezia. Soffocato dai molti titoli forti e importanti di quell’edizione del festival, non ha avuto l’attenzione che meritava; ma Tumbbad è un gioiello di horror folk da una regione che raramente consideriamo: l’India. Se l’America ha avuto The Witch, l’India ha Tumbbad, una storia che pesca dalle strutture delle fiabe tradizionali e dei miti fondativi e religiosi, ma piega tutto per raccontare una storia di cupidigia, sesso e avidità con un’inventiva e un coinvolgimento straordinari.

Girato lungo 6 anni, iniziato e poi mollato, poi di nuovo ricominciato da capo perché tutto il girato fino a quel momento non era soddisfacente, Tumbbad è l’impresa di una vita, una sceneggiatura scelta e poi scartata da 7 produttori diversi che alla fine è diventata un film girato nella stagione dei monsoni, in cui piove sempre e ovunque, pure nelle case dei ricchi e in cui un bambino che poi diventa uomo affronta demoni e mostri con un obiettivo e una determinazione che conquistano. La ragione di tutta questa fatica è che per l’India Tumbbad è un film fuori da ogni canone. Non è una sagra di balli e canti come i più popolari, né un film d’autore come quelli che girano i festival, è innamorato del cinema occidentale, per ritmo e immagini, ma radicatissimo nelle mitologie locali e nei valori (che a noi appaiono sempre un po’ naif) indiani.

L’inizio è pazzesco: attacca quasi come un film d’autore mediorientale (non propriamente il massimo dell’eccitante) con una famiglia di mamma e due bambini che vive in una baracca nel nulla indiano. Poi vira immediatamente quando scopriamo che devono assolutamente badare ad una vecchia/demone mostruosa nascosta nello scantinato, se non lo fanno qualcosa di terribile accade (puntualmente si creerà una crisi alla prima assenza della madre come nelle migliori fiabe). Ma è solo l’introduzione. Il grosso del film sono le spalle e i baffoni di Sohum Shah, il protagonista, uno dei due bambini che reincontriamo 15 anni dopo. Cosa colleghi l’introduzione al grosso del film lo scopriamo con il tempo (alcune cose proprio nel finale).

I baffoni epici di Sohum Shah (che è anche produttore) e il suo sguardo tesissimo accompagnano la parte determinante del film, la sua vita, la sua famiglia la sua scalata sociale alimentata dai dobloni che porta indietro da misteriosi viaggi. E quando cominceremo a scoprire (assieme a suo figlio) cosa sono quei viaggi, dove lo portano e come mai torna con i dobloni d’oro, inizierà la parte più avvincente. Non siamo dalla parte degli horror con jumpscare o dei film giapponesi con demoni spaventosi, ma più dalle parti di Guillermo Del Toro, nonostante la prima bozza del film sia del 1997 (ben prima dell’esplosione di Del Toro). Tumbbad vive di una creatività esplosiva in cui l’orrore è coloratissimo e non per forza solo nero, in cui le architetture cittadine e di antichi templi sono piegate e trasformate dalla colonna sonora e dalla fotografia in qualcosa di mostruose, in un letterale ventre che coltiva mostri (non perdetevi la spiegazione iniziale del mito su cui tutto si basa).

Per feticisti di tutti i significati del film va spiegato anche che i tre capitoli in cui è diviso Tumbbad sono anche un piccolo viaggio in quel che è successo all’India in questi anni. A noi dice poco ma è una forma di commento ai cambiamenti intervenuti nel paese e, a prescindere da quel che si conosce, è curioso lo sguardo critico sulla fame, il cambio di costumi e il contrasto che i tre registi del film (altra caratteristica stranissima) vedono nel loro paese.

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[Fonte Wired.it]