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martedì, Nov 10

Perché interrompere quella conferenza stampa di Trump non è censura



Da Wired.it :

La scelta delle reti americane Abc, Cbs e Nbc va letta nell’ottica del tradizionale ruolo dei media da “certificatori” del voto, e si inserisce in una questione più ampia e difficile: come si fa a fare giornalismo al tempo della disinformazione?

La diretta della conferenza stampa di Trump su Msnbc

Una delle vicende delle recenti elezioni presidenziali americane che certamente resterà nella storia dei media è stata la scelta improvvisa, e non concordata, delle emittenti Abc, Cbs, Msnbc e Nbc (ma poi l’ha fatto anche Fox News, più di recente) di interrompere una diretta dalla Casa Bianca del presidente in carica per affermare che ciò che veniva detto da Trump in quel momento non corrispondeva a verità. Se ci fermassimo qui, come qualche commentatore ha fatto, saremmo di fronte a una clamorosa violazione del principio della sovranità libertà d’espressione, incarnata dal Primo emendamento della Costituzione americana. Com’è stato notato da qualcuno, il giornalista deve esser testimone dei fatti, incluse le dichiarazioni, ancorché non veritiere, che diventano esse stesse un fatto storico, un documento. E il giornalista può sempre – in un secondo momento, in una interlocuzione, in una domanda e così via – spiegare le ragioni per le quali una certa dichiarazione risulta essere falsa, in punto di fatto. La libertà editoriale, insomma, non può spingersi al punto di entrare dentro il fatto, modificandolo prima di testimoniarlo.

La questione, tuttavia, prima di ogni peana quasi automatico sul ruolo terzo del giornalista, va guardata nel suo contesto specifico. La notizia di cui si parlava era, infatti, il risultato elettorale e vi era un presidente in carica che, da una sede istituzionale, stava affermando di aver vinto e di averlo fatto in stati il cui conteggio era ancora in corso. Stati che non erano stati chiamati dalle emittenti e che, per di più, in quel momento, vedevano in vantaggio lo sfidante.

Per comprendere cosa sia davvero successo, occorre ricordare che, secondo una consolidata prassi, sono proprio le principali emittenti televisive americane a decretare, con le proprie proiezioni statistiche sullo spoglio, gli stati assegnati a uno dei contendenti. Su questo, da sempre le emittenti televisive, e i loro giornalisti, giocano la propria reputazione e la propria credibilità come notai del voto. Non a caso quando non vi è certezza, e i risultati sono too close to call, le emittenti non si pronunciano. Quest’anno, per dire, abbiamo assistito al paradosso che Fox News (tradizionalmente vicina al partito del presidente Trump) abbia chiamato l’Arizona a favore di Biden, mentre Cnn si è rifiutata di farlo. Ciò significa che per le emittenti assistere passivamente a dichiarazioni false circa l’avvenuta vittoria elettorale sarebbe stato più che una mera testimonianza, perché ciò avrebbe, in qualche misura, legittimato da parte delle emittenti un’abdicazione al proprio ruolo terzo di certificatori del risultato. Certo, si poteva anche scegliere la strada seguita da Cnn (accusata di avere una linea editoriale biased contro la Casa Bianca) e limitarsi a un sottopancia. Ma resta la scelta – a mio avviso del tutto legittima – delle emittenti di non limitarsi a testimoniare una dichiarazione falsa ma di entrare in un fatto storico che da sempre li vede come parti professionalmente in causa. 

Peraltro, secondo le linee guida del regolatore americano, ove le emittenti trasmettessero notizie false la Fcc potrebbe intervenire su segnalazione. Nessuna segnalazione risulta, tuttavia, esser stata inoltrata dal team della campagna Trump.

Il punto di fondo che resta è tuttavia come determinare l’operato di una stampa libera, indipendente e professionale in contesti politici caratterizzati da elevata disinformazione e da un’estrema polarizzazione dell’opinione pubblica. È evidente che oggi il giornalismo di qualità si trovi schiacciato nel dilemma tra pluralismo e polarizzazione: limitarsi a testimoniare tutto – ma proprio tutto – mantenendo equidistanza in una interpretazione del pluralismo come equal time tra posizioni opposte, con il rischio così di legittimare ogni strategia di disinformazione? Oppure, prendere le distanze dalle notizie false e dalle false contestualizzazioni, con il rischio di apparire, perciò stesso, come biased e di parte? È un dilemma di difficile soluzione in un ambiente fortemente polarizzato, nel quale l’utente appare chiudersi verso la verifica di fatti che contraddicono la propria pregressa visione del mondo. E che diventa ancora più forte laddove il megafono ala disinformazione provenga da coloro che detengono il potere e che possono utilizzare il proprio ruolo pubblico e la forza espressiva della legge come meccanismi di accreditamento di fatti alternativi.

In questo quadro, la scelta delle emittenti Abc, Cbs e Nbc appare più comprensibile. Anche se certo assai rischiosa. Il tempo della polarizzazione, rafforzata anche dalle strategie di disinformazione, è il tempo di un giornalismo coraggioso che sa entrare nei fatti anziché limitarsi soltanto a testimoniarli. Forse questo non servirà ad affermare la verità dei fatti, perlomeno non per tutti, ma aiuterà a metter luce sul clima sociopolitico e culturale di questo tempo.

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[Fonte Wired.it]