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lunedì, Mar 09

Perché la letalità apparente del coronavirus è in crescita, soprattutto in Lombardia



Da Wired.it :

Il rapporto tra il numero dei decessi e quello delle persone che hanno la Covid-19 sfiora il 5% su scala nazionale, e con il dato di ieri sera ha raggiunto il 6,37% in Lombardia. C’entra il metodo di calcolo, ma soprattutto il livello di stress raggiunto dal sistema sanitario regionale

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(foto: Kontrolab/Getty Images)

Ci avevano detto che la letalità del coronavirus, ossia in sostanza la probabilità di non sopravvivere all’infezione e alla eventuale polmonite interstiziale provocata da Sars-Cov-2, era molto bassa, probabilmente inferiore al 3% e forse addirittura sotto l’1%. Eppure, se si guarda ai numeri ufficiali forniti dalla nostra Protezione civile, si trova tutt’altro: con il computo aggiornato alle 18:00 di domenica 8 marzo, siamo a 366 morti su un totale di 7.375 persone complessivamente risultate positive al coronavirus. Vale a dire una letalità calcolata del 4,96%. Un dato che, letto senza ulteriori spiegazioni, potrebbe esacerbare la già diffusa preoccupazione. Ma cosa ci dicono davvero questi numeri?

Anzitutto, come gli esperti hanno più volte ribadito, il valore percentuale che possiamo calcolarci direttamente dal divano di casa non rappresenta la letalità effettiva del coronavirus, bensì la letalità apparente. Apparente – come suggerisce la parola stessa – perché è ciò che traspare dagli impietosi dati ufficiali. I quali però hanno sicuramente una debolezza di fondo, tutta racchiusa nel denominatore della frazione. Affinché la letalità apparente coincida con quella effettiva, infatti, bisognerebbe avere contezza dell’esatto numero complessivo di persone contagiate. Il che, naturalmente, non è nella pratica possibile, tanto che scienziati diversi hanno fornito stime differenti di quanto il conteggio delle persone positive sia una sottostima della realtà, ma tutti concordano che il dato ufficiale sia ampiamente per difetto. A quanto equivalga questo ampiamente – se sia un fattore 2, 5, 8 o 100 – è difficile dirlo. E forse non è nemmeno così importante, in questa fase.

L’altro confronto largamente discusso, dai complottisti ma anche dagli esperti, è quello tra la letalità apparente in Italia e negli altri Paesi, europei e non. Armati di calcolatrice, è facile accorgersi che il dato globale (al momento in cui scriviamo) è del 3,47%, l’Iran è al 2,95%, la Francia all’1,69% e la Corea del Sud si ferma ad appena 0,68%. La Cina, che si basa su un campione molto più ampio di qualunque altro Paese, registra un 3,7%.

Difficile credere però che il nostro Sistema sanitario faccia registrare le peggiori performance al mondo. Molto più probabilmente, il confronto tra Paesi diversi è viziato da alcune disomogeneità di fondo: numero di casi positivi identificati rispetto ai positivi totali nella popolazione, criterio di ammissibilità all’esecuzione dei tamponi faringei, fattori demografici, zelo nell’identificare pazienti deceduti positivi al coronavirus, eventuali piccole differenze genetiche tra i diversi ceppi virali, e così via.

Tanto per citare un esempio, il presidente dell’Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro nell’ultima conferenza stampa ha spiegato che, suddividendo i decessi per fasce d’età e calcolando le relative letalità apparenti, il dato del nostro Paese è in realtà migliore (ossia inferiore) a quello della Cina, nonostante la percentuale complessiva faccia intendere il contrario. In altri Paesi, l’Iran su tutti, pare invece avere buon fondamento l’ipotesi che il numero di persone morte a causa della Covid-19 sia ben superiore rispetto al dato ufficiale fornito all’Organizzazione mondiale della sanità. E per gli altri Stati europei, infine, va tenuto conto che la maggior parte delle diagnosi è molto recente (cioè la malattia non ha fatto ancora in tempo, eventualmente, ad aggravarsi), e che in generale il campione statistico è molto più ridotto.

Il fattore decisivo è il tempo

C’è invece un dato, sempre sulla letalità apparente, che è estremamente significativo: l’evoluzione nel tempo di questo valore percentuale, giorno per giorno, nel nostro Paese. In data 1° marzo la letalità apparente nostrana era del 2,01%, il 4 marzo era al 3,47% e all’8 marzo è arrivata al già citato 4,96%. E in Lombardia, soprattutto dopo i 113 decessi regionali registrati nella giornata di domenica, la percentuale è del 6,37%.

Di nuovo, questo trend può essere spiegato con una serie di elementi, che non necessariamente si escludono a vicenda. Un primo aspetto è la solita questione del denominatore, perché con la nuova politica dei tamponi abbiamo probabilmente diminuito la nostra capacità di identificare a tappeto i nuovi casi. Questo provoca una diminuzione del denominatore e quindi, giocoforza, una crescita della letalità apparente.

Un secondo elemento è invece più sostanziale. Va tenuto conto, infatti, che man mano che passa il tempo si sta mettendo sempre più sotto pressione il sistema sanitario. Non solo nel senso che il personale medico sta sopportando uno sforzo via via maggiore, ma anche che i reparti di terapia intensiva e sub-intensiva stanno raggiungendo (o hanno già raggiunto) la loro massima capacità. Questo può significare dover trasferire altrove alcuni pazienti, o nello scenario peggiore iniziare a scegliere di dedicare le cure migliori a chi ha più possibilità di sopravvivere. In entrambi i casi, l’effetto è una inevitabile flessione della qualità dei soccorsi e dei trattamenti, che nonostante l’impagabile sforzo umano degli operatori sanitari si traduce in una più alta probabilità di veder peggiorare il proprio quadro clinico.

Questo effetto è proprio ciò che tutti i cittadini (e ovviamente le istituzioni) sono chiamati a tentare di impedire, perché solo il rallentamento della curva epidemica e del numero di contagi può ridare un po’ di ossigeno – è proprio il caso di dirlo – al sistema ospedaliero, e garantire a tutti un’assistenza adeguata. Viceversa, si rischia di essere all’inizio di quel potenziale collasso della sanità che va assolutamente evitato, e che in Regioni diverse dalla Lombardia si stima possa avere un effetto ancora più preoccupante.

A dare sostanza a questo ragionamento, fin qui piuttosto astratto, sono anche i dati ufficiali. Già con i numeri aggiornati al 7 marzo, infatti, appariva evidente che il trend di crescita del numero delle persone morte fosse più rapido rispetto al numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva: questo grafico di Enrico Bucci, per esempio, illustra la situazione. Con l’aggiornamento dell’8 marzo, poi, la situazione si è fatta ancora più palese: in Lombardia il numero di decessi si è incrementato di 113 unità, quello dei ricoveri in terapia intensiva di sole (in realtà sono numeri comunque altissimi) 40.

LO STATO DELLE COSE.

1. La semplice notizia che ci si sarebbe trovati in zona rossa, irresponsabilmente diffusa da…

Pubblicato da Enrico Bucci su Domenica 8 marzo 2020

Naturalmente questi numeri dovranno essere valutati in un trend di più lungo periodo includendo anche i dati dei prossimi giorni, ma potrebbero essere un primo indicatore statistico della fatica del sistema sanitario lombardo. Anche perché il resto della penisola mostra una letalità apparente molto inferiore a quella lombarda e pari al 3,11%, spinta verso l’alto soprattutto dal dato dell’Emilia-Romagna (4,75%) e del Veneto (2,69%). Al di fuori delle tre regioni al momento più interessate dall’epidemia, la letalità apparente è ferma all’1,87%.

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[Fonte Wired.it]