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giovedì, Ott 08

Perché Louise Glück ha vinto il premio Nobel per la letteratura



Da Wired.it :

La poetessa americana, apprezzatissima in patria, è una delle voci più scabre ed essenziali della contemporaneità. La sua riflessione sui traumi e la natura prende vita grazie a un linguaggio esasperato e ricco di suggestioni mitiche

louise gluck
(Foto: Getty Images)

In un anno in cui i bookmaker davano per favorite diverse scrittrici, fra cui la caraibica Maryse Condé, la canadese Anne Carson e la russa Lyudmila Ulitskaya, ad aggiudicarsi il Nobel per la letteratura 2020 è stata comunque una donna, ma di sicuro non fra le più prevedibili, sempre a parer degli allibratori: Louise Glück (si legge “glik”) è una poetessa statunitense estremamente nota in patria, dove è stata premiata con i principali riconoscimenti letterari nazionali, fra cui il Pulitzer e il National Book Award, ed è stata anche poet laureate (una specie di “poeta ufficiale della nazione”) dal 2003 al 2004. Al di qua dell’oceano, a dire il vero, la sua fama è contenuta, tanto che in Italia sono state pubblicate solo due delle sue numerose raccolte, L’iris selvatico (Giano, 2003) e Averno (Dante & Descartes, 2019), mentre compare anche nelle antologie West of Your Cities (minimum fax, 2003) e Nuovi poeti americani (Einaudi, 2006).

Gli amanti della poesia ritengono quella di Glück una voce chiarissima e formidabile nell’ambito del racconto dell’animo contemporaneo. Nata a New York il 22 aprile 1943 da una famiglia di origini ebreo-ungheresi, crebbe in un ambiente molto vivace dal punto di vista culturale, dove apprese precocemente la passione per la mitologia greca e per le storie classiche, soprattutto quelle a impronta femminile di Persefone o Giovanna d’Arco. Un’anoressia particolarmente feroce la obbligò a lasciare il liceo e in seguito abbandonò anche gli studi alla Columbia University: la mancanza di un percorso di formazione tradizionale non le ha impedito di sviluppare un grandissima sensibilità per quelli che sono i temi fondanti della nostra cultura: le sue poesie, intime e scabre, sono spesso una riflessione molto lucida su trauma, desiderio, natura, ma anche depressione e isolamento. Forte in lei l’eco di un lungo percorso di analisi

Nel consegnarle il Nobel l’Accademia di Svezia ha riconosciuto “la sua inconfondibile voce poetica che con bellezza austera rende universale l’esistenza individuale”. La poetica di Glück è in effetti così: partendo da ispirazioni biografiche e da suggestioni naturali, l’autrice riflette sulle sue sensazioni personali esasperate e traumatizzate dal mondo che le gira intorno in una prospettiva che trova consolazione quasi esclusivamente nel potere catartico della poesia e dell’arte stesse (“Life, my sister said, / is like a torch passed now / from the body to the mind”, “La vita, ha detto mia sorella, è come una torcia passata ora dal corpo alla mente”). Rime e ripetizioni ossessive, frasi spezzate e ritmo frammentato sono indici formali della sua ricerca spasmodica di una profondità che si traduce in un’essenzialità nervosa e compiutamente espressiva.

Spesso la si colloca in una tradizione tutta americana alla quale appartengono grandi nomi come Emily Dickinson, Sylvia Plath, Elizabeth Bishop e Robert Lowell. Ma un’altra caratteristica fondamentale di Glück è la sua propensione instancabile al cambiamento, tanto che anche i suoi componimenti sono difficilmente catalogabili univocamente sia nello stile sia nelle tendenze più ampie: “The master said ‘You must write what you see’/ But what I see does not move me. The master answered ‘Change what you see’”(“Il maestro disse ‘Scrivi ciò che vedi’, ma ciò che vedevo non mi commuoveva. Il maestro rispose ‘Cambia ciò che vedi’”).

Questo movimento continuo va cercato in quella che per questa poetessa è la dialettica fondante del nostro universo, quella fra vita e morte, fra creazione e distruzione: “It grieves me to think / the dead won’t see them – / these things we depend on, they disappear” (“Mi addolora pensare che i morti non le vedranno, queste cose su cui dipendiamo svaniscono”). Il tutto, poi, si risolve solo in una placida ma non rassegnata accettazione: “Why love what you will lose? / There is nothing else to love” (“Perché amare ciò che perderai? Perché non c’è niente altro che si possa amare”).

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[Fonte Wired.it]