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sabato, Ott 31

Perché Martin Eden con Luca Marinelli ha stregato l’America



Da Wired.it :

Dal New York Times a Rolling Stone, recensioni entusiaste per il film di Pietro Marcello che racconta l’eroe di un classico della letteratura americana con una prospettiva italiana. Merito dell’interpretazione di uno dei nostri migliori attori ma c’è dell’altro

Se si stilasse una lista di 12 cose che si amano del cinema e la si trasformasse in un film, verrebbe fuori Martin Eden. Lo ha scritto A.O.Scott sul New York Times, ma non è il solo ad essere rimasto stregato dal film di Pietro Marcello, uscito negli States lo scorso 16 ottobre. Rolling Stone ha scomodato il termine “capolavoro”, per The New York Review è un fulmine a ciel sereno pieno di idee che unisce cinema verità e commedia dell’arte, mentre per il Los Angeles Times è magnetico e pieno di passione e il Chicago Tribune non esita a esaltare il grande peso cinematografico e filosofico. Le testate americane, inoltre, concordano sul talento e la convincente interpretazione di Luca Marinelli nei panni del protagonista, Martin Eden, un sognatore che si innamora della cultura e riesce così ad emanciparsi, salvo restare poi disilluso da quello che credeva un mondo incontaminato.

Come mai la critica americana osanna tanto Martin Eden?
Intanto perché racconta una storia di riscatto sociale che altro non è se non l’american dream in versione squisitamente italianaun ragazzo venuto da zero che si emancipa dalla miseria e dall’arretratezza con le sue sole forze, puntando tutto sulla propria determinazione e mettendola anche al servizio degli altri (dei lavoratori più deboli, da difendere sempre e comunque). Non dimentichiamo che il film è tratto dal classico di Jack London, il cui titolo per intero già dice tutto: Martin Eden. Vita,amore e morte di un eroe americano. È la storia dello scrittore stesso, infondo, un ragazzo pieno di ideali, ma costretto a spendersi in lavori e lavoretti poco raccomandabili, fino a diventare il grande scrittore che conosciamo dai trent’anni in poi attraversando tutta una serie di difficoltà. La mossa di cambiare ambientazione da libro a film, da San Francisco ad una Napoli sospesa nel tempo, è risultata vincente per due motivi: la familiarità del regista casertano con la materia trattata e il magnetismo del capoluogo campano nell’immaginario internazionale, dopo decenni spesi ad approfondirlo con racconti che hanno saputo affascinare e conquistare gli americani in maniera diversa ma ugualmente potente (da Gomorra a L’amica geniale).

Altro fattore di alto gradimento da parte della critica americana è la costruzione del film come un “one man show”, nel senso di tutto incentrato sulla figura di Luca Marinelli, tra i pochissimi attori internazionali che abbiamo in Italia. Ha lavorato con Danny Boyle nella serie Trust e con Charlize Theron per Netflix reggendo testa a tutto il cast di The Old Guard– con buona pace di Matthias Schoenaerts – nonché dato sfoggio di performance che non hanno nulla da invidiare ai colleghi Oltreoceano quanto a capacità di reinventarsi e calarsi in maschere estreme in modo credibile (su tutti, lo Zingaro di Lo chiamavano Jeeg Robot – e vedremo cosa farà con Diabolik).

A lui spetta interpretare l’intraprendenza dell’eroe che non si arrende mai tanto cara agli americani, ma anche l’artista mai domo e mai pago di sé, sull’orlo costante del precipizio. Precipizio che anche all’apice del successo si trasforma in fallimento emotivo: lo stesso che prova chi guarda e si rende conto che, nel 2020, l’american dream è davvero rimasto solo un sogno. Lo spettatore americano dell’era Trump conosce il disagio, la rottura definitiva dell’ideale, la drastica differenza tra realtà, propaganda e ambizioni personali, e inizia ad identificarsi più con il looser che con il winner. Temi come la divisione di classe e l’importanza dell’insegnamento e della cultura in una società individualista vengono allora recepiti ad un livello più profondo, mentre in superficie resta il fascino di elementi cari al cinema statunitense, come la storia d’amore impossibile, con lui che non cede allo snobismo aristocratico e crudele della famiglia di lei e s’innamora della cultura per essere “accettato”.

Una storia di speranza e di rovina, di sogno inseguito, raggiunto e poi infranto, in cui è facile immedesimarsi e da cui è interessante lasciarsi conquistare, grazie anche – ovviamente – alla riuscita dei vari comparti, dalla regia alla fotografi.

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[Fonte Wired.it]