Ma non l’avrebbe fatto, con “intenzionale e consapevole spregio delle regole“, e violando “volontariamente la libertà personale di 147 persone“. Sempre secondo l’accusa, Salvini aveva agito da solo contro tutti, determinando il caos istituzionale, e senza la presenza di alcun reale rischio per la sicurezza del Paese, ma solo perché “temeva il fallimento della politica dei porti chiusi“. Nessuna “giustificazione giuridicamente, fattualmente e umanamente apprezzabile”, ha ribadito Sabella.
Per lo Stato italiano nessun obbligo
Il 20 dicembre scorso il verdetto che non ha accolto le tesi dell’accusa, scagionando Salvini. Oggi sappiamo perché. Prima ancora che la condotta dell’ex premier, i giudici hanno valutato se il compito di dare a Open Arms un porto sicuro spettava allo Stato italiano, o meno. L’accusa sosteneva di sì perché l’Italia sarebbe stata per la nave dell’ong il cosiddetto “Stato di primo contatto”, cioè quello che viene a conoscenza di una situazione di pericolo in mare e ha il dovere di coordinare i soccorsi. “Con riguardo Sar a nessuno dei tre eventi Sar fosse sorto in capo allo stato italiano l’obbligo di concedere il Pos”, ha invece concluso il tribunale dei ministri di Palermo.
Prima di tutto, perché nessuno dei salvataggi si era verificato nelle zone di ricerca e soccorso di competenza dell’Italia, e poi perché l’autorità italiana non era stata neppure la prima a essere contattata. Questo ruolo – si legge nelle motivazioni della sentenza – “va sicuramente attribuito allo Stato spagnolo in quanto tempestivamente informato degli eventi e sollecitato a intervenire e a fornire supporto”. Uno “Stato di primo contatto” che il tribunale di Palermo definisce “appropriato” anche per la concessione a Open Arms di un Pos: gli eventi Sar non si erano verificati lontano dalle sue coste e quindi “avrebbe potuto assicurare uno sbarco, anche sul proprio territorio, in tempi sicuramente ragionevoli richiesti dalle linee guida internazionali sul salvataggio in mare”.
L’Italia è stata coinvolta dall’ong, con la richiesta di un Pos, solo in seconda battuta. Richiesta non motivata dal alcun obbligo, ma solo dal fatto che “Lampedusa era il porto più sicuro vicino al luogo di salvataggio”, scrivono i giudici. Non ha cambiato lo scenario la situazione di difficoltà in cui si è trovata la nave tra il 13 e il 14 agosto del 2019 a causa di un peggioramento delle condizioni meteo. Non era una situazione di “distress”, ma solo una “situazione di cattivo tempo che non aveva causato nessun concreto pericolo di vita dei passeggeri”, conclude il tribunale.
La mancanza di leggi europee ad hoc per il soccorso dei migranti
Ma ancora più importante è il contesto giuridico in cui è maturata questa decisione. Un quadro normativo che – sottolineano a più riprese i giudici – è “inaffidabile” e “precario”. “Le norme per il soccorso in mare sono nate per regolare episodi eccezionali, come gli incidenti, e non per la gestione dei flussi migratori”, commenta a Wired lo studioso delle migrazioni internazionali Gianfranco Schiavone.
Secondo le ultime stime dell’Unicef, negli ultimi dieci anni hanno perso la vita nel Mediterraneo quasi 20.800 persone, di cui 10mila minori. Eppure ancora oggi, ricorda la pronuncia, “non esiste una cornice legislativa idonea a regolare ordinatamente i rapporti tra i vari soggetti coinvolti nelle operazioni di salvataggio nel mar Mediterraneo, almeno nel contesto delle operazioni ong, né una definita, e condivisa, linea progettuale sulla gestione dei flussi migratori”. Nell’interpretazione dei giudici di Palermo, anche il principio di solidarietà stabilito dalle convenzioni internazionali, che impegna gli Stati ad assicurare a chi sopravvive a un naufragio il soccorso e lo sbarco il prima possibile, non si traduce in un obbligo.
Mentre la tutela del bene della vita di chi è esposto a pericolo in mare e dei diritti delle persone migranti “presuppongono l’individuazione di un quadro normativo specifico e di un chiaro progetto di azioni degli Stati, possibilmente condiviso a livello comunitario se non internazionale (oltre che attenzione e sensibilità dei Governi e delle Istituzioni mondiali alla complessità del fenomeno migratorio)”, conclude il tribunale del capoluogo siciliano.