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martedì, Ott 29

Perché, nonostante le promesse mantenute, il Movimento non ce la fa


I grillini non sono rimasti con le mani in mano, pur subendo il peso di un alleato come Salvini qualche risultato lo hanno ottenuto. Ma non è bastato a fidelizzare nuovi elettori e a tenersi quelli che già avevano

(Foto Vincenzo Livieri/LaPresse)

Un anno a rincorrere Matteo Salvini, portando comunque a casa il reddito di cittadinanza e altri provvedimenti bandiera come il ricalcolo dei vitalizi o i provvedimenti sulla corruzione. Due mesi alleati del Pd, dopo la giravolta agostana dell’ex fratello coltello leghista, nel corso dei quali è stato tuttavia approvato il taglio dei parlamentari. Ciononostante la parabola del Movimento 5 stelle sembra ormai discendente. O meglio, in stallo. Appaiono lontani i tempi del marzo 2018, quando i rapporti di forza col Carroccio erano invertiti in modo quasi speculare. Non più di un anno e mezzo fa i pentastellati raccoglievano infatti il 32,2% contro il 17,3 della Lega.

Oggi i sondaggi nazionali danno il M5S intorno al 20, spesso anche sotto, e la Lega volare sul 33% e alle ultime europee il rapporto è stato di 17% contro 34. Con i dem a fare in effetti da pivot del quadro partitico, fermi – a seconda delle diverse situazioni e tornate – nella forchetta 18-23% in un balletto da gamberi disorientati. La batosta umbra, con la strana alleanza che ha condotto il partito ai minimi termini, ha definitivamente aperto una crisi che il capo, Luigi Di Maio, schiva ormai da mesi con invidiabile spirito di sopravvivenza politica.

Adesso il leader pentastellato affonda proprio la fulminea alleanza coi dem, tentando di resistere agli attacchi dall’interno: “Non ha funzionato – ha detto – ci abbiamo provato ma sia che stiamo con il Pd che con Lega al governo, il Movimento perde consenso”. Più che perdersi, sembrerebbe dai flussi di voto, quel consenso si “spegne”. L’impresa dei grillini era stata infatti quella di riportare al voto una fetta consistente di italiani. In Umbria, tanto per rimanere agli ultimi avvenimenti, secondo l’Istituto Cattaneo un elettore su due non è andato a votare, al contrario delle truppe cammellate di destra, mobilitatesi in massa. Un’altra porzione di quei voti, il 20% circa, è finita alla Lega, come già capitato in Sardegna o Abruzzo. Nel resto della regione non è che sia andata diversamente.

Il primo punto, dunque, è che quando il Movimento 5 stelle appare compromesso, mescolato, alleato, perde un bel pezzo di magnetismo. Le anime più populiste tornano all’ovile delle probabili origini di destra e le altre non ci pensano proprio a guardare al centrosinistra, con buona pace di chi vede chissà quale dna progressista in quel bacino: restano a casa. Gli elettorati di Pd e 5 Stelle, dunque, non si integrano né si attraggono: i grillini continuano a donare sangue a Salvini, i dem tengono botta ma non guadagnano, sono inchiodati a cavallo del 20%. Se poi l’alleanza di governo appare più finta di quanto non sia, il teatrino precipita e in questo senso ha ragione Nicola Zingaretti: il Conte Bis deve servire a qualcosa, dare il più possibile l’idea di un progetto sensato e archiviare l’idea di un governo di poltrone. Altrimenti spianerà la strada a un Salvini da 40%.

Abbiamo diverse occasioni per ricominciare con lo spirito giusto – ha aggiunto Di Maio su Facebook – dobbiamo azzerare tutte le aspettative e ricominciare da zero. A me non interessa la percentuale, a me interessa che quando presentiamo una lista alle comunali o alle regionali, permettiamo a cittadini che combattono battaglie importanti per il loro territorio di entrare nelle istituzioni. Senza sacrificare ciò in cui crediamo”. Ma quelle maggioranze che servono, con i sistemi elettorali in vigore, una Lega così forte e un Pd che pur in crisi di nervi costante porta a casa due voti su dieci, difficilmente si raccolgono da soli. Non è accaduto in Parlamento al momento di massimo splendore, quando in poche settimane si “aboliva la povertà”, men che meno può accadere a livello locale.

Il difetto di programmazione del M5s è tutto qui: rappresentare una fumosa Terza Via che, con buona pace della pessima eredità di quest’abusata etichetta, non ha alcuna strada da percorrere in un sistema come quello italiano. Le alleanze sono dunque un obbligo ma ogni alleanza pare al contempo annacquare la tenuta di fondo del movimento: governare, lo si diceva in passato, è complicato e quasi sempre fa perdere voti. Questo sta accadendo, con l’aggiunta di una base elettorale storicamente inesistente e dunque liquida per definizione. Che, per capirci, non ti aiuta nei momenti difficili come, in qualche maniera, ancora accade al Pd e alla Lega. Come non accade più a un altro partito di plastica, Forza Italia.

Dovevamo grillizzare il sistema, invece il sistema ha normalizzato noi” pare abbia lasciato trapelare a pochi eletti Beppe Grillo. A cavallo, un po’ dentro e un po’ fuori, il movimento non funziona. La parabola iniziata col 25% del 2013 e passata dal 32,2 di un anno e mezzo fa è in sostanza conclusa. Come se le battaglie centrali che avevano animato la prima stagione del grillismo non scaldassero più cuori e anime: meno parlamentari, ricalcolo dei  vitalizi, reddito di cittadinanza, lotta alla corruzione (anche se in modi scivolosi). Tutti provvedimenti portati a compimento. Eppure il M5S prende meno ora di quanto incassava prima che potesse mettere mano a uno qualunque di questi punti.

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