Troll Hunter di André Øvredal è il perfetto esempio di quanto per fare un grande film, non servano soldi, ma fantasia e talento. Esce nelle sale norvegesi il 29 ottobre del 2010 e diventa immediatamente una pellicola di culto, un vero caso cinematografico, oggi possiamo dire un classico. Perché? Perché riporta la verosimiglianza ad abbracciare il fantastico in modo unico.
Persi nel grande Nord abitato da mostri
Troll Hunter a 15 anni di distanza rimane un piccolo gioiellino cinematografico, uno di quei film di genere che in virtù di ingegno, creatività, fantasia, sono stati capaci di ritagliarsi uno spazio non indifferente nel loro mondo. Questo perlomeno all’interno di quel pubblico che agli effettoni speciali e i grandi nomi delle Majors, preferisce che imprevedibilità, genuinità e fantasia. André Øvredal quel 29 ottobre del 2010 riporta in auge il mockumentary, quello connesso al found footage per essere più precisi. Per chi non lo sapesse, tale diade sta a specificare l’unione tra l’estetica e l’atmosfera del documentario e la narrazione fantasiosa, attraverso la realizzazione di un girato che ricordi sia un lavoro amatoriale, sia qualcosa di genuino, quasi ritrovato per caso, privo cioè di un montaggio che ne elimini una certa raffinazione. Qualcosa che aumenta la sensazione di realismo, credibilità e verità, creando (se utilizzato nel modo giusto) un mix potente e coinvolgente.
A partire dalla fine degli anni ’90, con la nuova ondata di tecnologia audiovideo portatile, riporta in auge quella formula cinematografica il cui capostipite era stato il nostro Ruggero Deodato, con il suo mitico Cannibal Holocaust. Troll Hunter è legato sia a quel cult horror oscuro e geniale, sia agli eredi, che sul finire di secolo ci avevano regalato un capolavoro come The Blair Witch Project, diventato poi una saga a dir poco redditizia. A questa si sarebbero poi aggiunte, mediante la stessa tecnica o quasi, quelle di Red, di Paranormal Activity, persino un titolo fantascientifico non da nulla come Cloverfield di Matt Reeves. Ma con Troll Hunter andiamo da tutt’altra parte, finiamo in una dimensione narrativa inedita, quella del grande Nord, di quei paesi dove una volta i vichinghi regnavano e con essi un complesso universo di miti e leggende. Troll Hunter verrà indicato come un cult fin da subito, un titolo che capace di portare un certo cinema nordico al centro del villaggio.
L’artefice di tutto è lui, André Øvredal, che alla sua seconda prova con un lungometraggio di un certo livello, firma e dirige un film che affonda le proprie radici nella mitologia norrena, in particolare nella figura dei Troll. Trattasi di mostruose creature tanto orripilanti, gigantesche e varie nella loro fisionomia, quanto simbolo di un qualcosa di orrendo, nauseante, primitivo e non particolarmente intelligente. Prendendo spunto proprio da The Blair Witch Project, Øvredal riunisce un cast di attori professionisti e non, e filma il tutto tra i boschi del Rogaland e Westland, coniugando un’enorme riservatezza sulla produzione e le riprese, ad una campagna virale a montaggio ultimato. Un mossa che sarà in grado di risvegliare la curiosità sia del pubblico nazionale, che dirgli appassionati di fantasy, horror, pseudoscienza e complottismo in ogni paese. Troll Hunter da 15 anni è un simbolo di quanto si possa riuscire a creare un film con un’atmosfera e un’estetica assolutamente uniche.
La trama è abbastanza semplice, segue un gruppo di studenti dell’università di Volda, Thomas, Johanna e Kalle, che seguono le tracce di Hans, che sospettano essere un bracconiere di orsi. I loro tentativi di ottenere un’intervista dall’uomo falliscono miseramente, anche per un certo ostracismo da parte della autorità che si occupano di preservare la fauna locale. Tuttavia, continuano a pedinarlo, soprattutto di notte, ed è a questo punto che Troll Hunter svela le sue carte. I tre improvvisati documentaristi, si rendono conto che Hans in realtà è un cacciatore di Troll, mostruose e leggendarie creature semi-orchesche, gigantesche e soprattutto notturne, capaci di diventare molto pericolose, come scopriremo in seguito. Le autorità norvegesi cercano di mantenere il più assoluto riserbo sulla loro esistenza ed in breve, il gruppo si metterà a seguire Hans, che armato di luci ultraviolette, dà la caccia a quegli esseri, che ultimamente si stanno dimostrando ben più aggressive del solito.
Una piccola gemma dal sapore molto vintage
Troll Hunter diventa un mockumentary ibrido tra fantasy, horror, survival e fantascienza, una mistura curiosa. Dentro tale mix però ribolle anche la capacità di farci comprendere non solo la reale natura della mostruosa creatura, ma anche gettare uno sguardo abbastanza severo da parte sulla cosiddetta efficienza nordica. Øvredal tratteggia un paese che, sotto l’apparente perfezione, nasconde peccati, freddezza, ipocrisia, con quei mostri notturni orribili che finiscono per diventare una metafora sulla mancanza di verità e di empatia della società norvegese. Troll Hunter ha dalla sua anche una dimensione visiva veramente interessante, abbraccia l’identità di film di genere, quello vero, quello vintage, dei tempi in cui registi del calibro di George A. Romero, John Carpenter, Sam Raimi e Peter Jackson ai loro albori seppero creare. E quindi eccoci qui mentre seguiamo questa banda di avventurieri che si improvvisano detective, vanno alla caccia di questi mostri che la luce del giorno trasforma in pietra.




