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mercoledì, Dic 23

Perché una trekker dovrebbe tradire Discovery per The Mandalorian



Da Wired.it :

Qualche settimana fa un fan fedele di Star Trek ha cominciato a guardare l’episodio dello spinoff di Star Wars prima di quello con Michael Burnham. Ecco perché a questo giro Disney ha fatto meglio

Chi scrive è una fan sperticata di Star Trek. Non nel senso di compulsiva collezionista di astronavi in miniatura e frequentatrice “stan” di convention, ma in quello che sottende una lealtà incondizionata alla filosofia dietro alla creazione di Gene Roddenerry. I suoi principi, i suoi personaggi e le sue storie insegnano come affrontare ogni momento della nostra esistenza. Chi scrive, su Star Trek ha elaborato pure una tesi, focalizzata su Data e i Borg. Per questo, è con sgomento che la trekker in oggetto si è ritrovata per diversi venerdì a loggarsi nel proprio account Disney+ prima che su Netflix per godersi il nuovo episodio di The Mandalorian. E poi, solo poi, di Star Trek: Discovery.

Consapevole di meritare l’incenerimento seduta stante, ha tuttavia perseverato in questo atteggiamento fino alla fine della seconda stagione delle avventure di Din Djarin e del piccolo Grogu, quando la serie prodotta da Jon Favreau si è conclusa con un finale strappalacrime. Anche chi scrive non ha potuto fare altro che soccombere a una stagione incentrata sull’affetto paterno che il solitario mandaloriano sviluppa per il suo rugoso pargolo adottivo, questo a discapito della visione delle missioni di Michael Burnham e del resto dell’equipaggio della Discovery che quest’anno affrontava un attesissimo salto nel futuro di quasi mille anni e un tuffo nell’hard sci-fi a cui nessun fan della fantascienza può resistere (specialmente quando tra le guest c’è David Cronenberg nei panni di un personaggio a lui estremamente congeniale).

Come mai è accaduto tutto questo? Come è possibile che alcuni trekker, specialmente quelli con una spiccata avversione per la SF declinata nel fantasy (alla Ursula Le Guin per intenderci), si sia appassionato a The Mandalorian? La risposta è semplice: è fatta meglio. Di Discovery abbiamo già più volte parlato: il suo problema principale risiede nella fortuna di aver potuto contare all’inizio sul contributo creativo del geniale Brian Fuller di Hannibal e poi di averlo perso. Le idee, brillanti, c’erano, ma la coesione garantita dalla sua supervisione costante è andata perduta.

Discovery si presenta come una serie corale, dove i membri dell’equipaggio si danno il cambio negli episodi filler per raccontarsi. Tuttavia, quello che vediamo è lo show di Michael Burham; la trinità composta da Michael, Philippa e Lorca è stata soppiantata già dalla prima stagione da sceneggiature che soffocano il potenziale degli altri personaggi in una serie che si annunciava corale sin dai poster, questo a favore di un personaggio senza il carisma necessario. Tralasciando le annose riflessioni fondate sulle critiche “ma Discovery non è abbastanza trek”, oppure “Discovery tradisce gli ideali della Federazione e pertanto quelli di Roddenberry” e ancora “Discovery è troppo distopica per essere trek”, alla fine la serie che fu di Fuller perde nel confronto con The Mandalorian semplicemente perché è meno coinvolgente di quest’ultima.


Nello specifico, la serie di Favreau è concepita, scritta e realizzata da gente più furba. La creazione di un personaggio come Baby Yoda è di per sé esplicativo di questa posizione: costruito a tavolino da un team senza vergogna che ha dato forma alla mascotte più tenera e adorabile possibile asservita alle logiche di merchandising della Disney quanto a quelle di manipolazione dello spettatore. Sappiamo di essere amichevolmente abbindolati ogni volta che Grogu produce un versetto, allunga la manina per giocare col pomello del cambio, ingurgita qualcosa di vivo, sgrana gli occhioni o cammina in modo goffo.

La seconda stagione di The Mandalorian, nello specifico, approfondisce il legame tra Din Djarin e Grogu: non sono più “il Mandaloriano” e“il Bambino”, sono due individui legati da un inossidabile rapporto padre-figlio. La parabola della loro relazione raggiunge il picco sul finale, quando il pistolero solitario tradisce il suo stile di vita formando alleanze con altri per proteggere, in gruppo, il piccolo jedi dalle grinfie di Moff Gideon, e arriva addirittura a togliersi il casco – di base abiurando la propria fede – mostrando il volto in quel momento toccante in grado di squagliare i ghiacci artici cui si è tanto parlato in internet. Inoltre, The Mandalorian vince perché va controcorrente rispetto alla tendenza della fantascienza televisiva corrente che predilige intrecci complicati e articolati, trame e tematiche “adulte” e cast corali dove una miriade di figure si avvicendano tra di loro.

The Mandalorian è, invece, un semplicissimo western di frontiera in salsa fantascientifica (o un serie fantascientifica in salsa western) nel quale un bimbo da proteggere e il suo antieroico e silenzioso guardiano annienta chiunque ne minacci l’incolumità. Ogni episodio segue l’altrettanto semplice canovaccio della “quest” – della missione da compiere – dando vita un road movie intergalattico scandito dagli incontri con volti noti della saga di Star Wars, e pertanto strizzando l’occhio alla vecchia guardia dei seguaci di Guerre stellari tramite un fanservice sfacciato che con la comparsata di Luke (spoiler!) tocca il suo apice. Tutta la stagione (anzi, la serie) è progettata sistematicamente per irretire il pubblico tramite espedienti che servono il solo scopo di avere successo; il punto è che… ne siamo consapevoli e ci va bene così.

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[Fonte Wired.it]