Non c’è nessun palco, nessuna scenografia, pochissime luci di scena, per le riprese durante il giorno (compaiono, poi, per le riprese in notturna). È una scelta molto particolare per una band che, in seguito, avrebbe fatto della teatralità una delle sue cifre stilistiche, con l’apice, in questo senso, avvenuto con il tour di The Wall, che diede il via a un nuovo modo di intendere il concerto rock. In scena ci sono solo quattro musicisti, i loro strumenti, i grandi amplificatori, neri e imponenti come il monolite di 2001: Odissea nello spazio, che contrastano con il senso di antichità che si respira tutto intorno. Non c’è bisogno di scenografie: lo spettacolo, oltre alla band, lo fanno le antiche maschere di pietra, i luoghi aridi e brulli, il magma, i fumi che escono dal terreno.
Un concerto senza il pubblico
Anche l’idea di registrare un concerto dal vivo, senza pubblico, era una scelta che andava completamente controcorrente: erano gli anni post Woodstock, in cui in tutto il mondo erano arrivate le immagini di un concerto davanti a una folla oceanica, e il concetto di film concerto era quella. L’idea di una band che suona da sola, senza un’audience, in un luogo antico, è a suo modo dirompente. E astrae i Pink Floyd dallo spazio e dal tempo, per renderli, se mai ce ne fosse bisogno, eterni. I capelli lunghi, in jeans e una semplice t-shirt, o a torso nudo, i Pink Floyd che vediamo a Pompei sono iconici, ma al tempo stesso lontani da quell’iconografia che li avrebbe contraddistinti e fissati per sempre nell’immaginario collettivo.