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lunedì, Dic 16

Pinocchio di Garrone, il vero eroe qui è Geppetto


Trasposta con una fedeltà forse anche controproducente, la favola diventa un film magico e duro al tempo stesso, con una messa in scena di prim’ordine. In uscita il 19 dicembre

Fin dalla prima scena, una delle pochissime create per il film e non prese dal libro di Collodi, il Pinocchio di Matteo Garrone è una storia di miseria e povertà. Lo dice quel che accade e lo dice l’ambientazione, lo dice come è truccato e vestito Roberto Benigni (che interpreta Geppetto) e lo dice infine il paesaggio autunnale, pessimo, umido, spoglio, vuoto, miserabile. Tutti gli adattamenti di Pinocchio hanno un contesto umile, questo è in assoluto il primo che fa di tutto per mostrarlo davvero, per insisterci così tanto da renderlo vivo. Per fare in modo insomma che lo sguardo dello spettatore non possa sfuggirgli. Perché a Garrone, lo si capisce ben presto, interessa molto più Geppetto di Pinocchio.

Nelle avventure di Pinocchio infatti la miseria conta relativamente, è una delle cause che mettono in moto gli eventi. L’abbecedario venduto, i soldi che il Gatto e la Volpe gli vogliono prendere e via dicendo, ma non è un agente nel sentimentalismo e nell’empatia verso il personaggio. Invece qui la sensazione più forte è la profonda indigenza che muove Geppetto, la disarmante povertà che gli fa sentire freddo senza cappotto e gli fa venire i crampi allo stomaco. Quelli del film sono luoghi polverosi che paiono abbandonati e invece sono abitati, divorati dal vuoto di un mondo così evidentemente infelice. Tutto questo muove Geppetto, gli si attacca addosso e rende ogni decisione, specialmente quella di creare un burattino che poi si animerà e sarà suo figlio, un gesto che parla di bisogno d’amore, insoddisfazione e sogni: sacrificarsi, perdere tutto, essere disposto ad ogni cosa.

Roberto Benigni in questo senso recita benissimo, nonostante all’inizio abbia un piccolo segmento di moderata comicità nel proprio stile, è capace di mettere da parte le sue abitudini (almeno alcune) e scendere nell’abisso con Garrone. Lì troverà il burattino di legno discolo, che animatosi scappa con il carrozzone degli altri burattini e vive le sue avventure fino a ricongiungersi con il padre nel ventre di un pescecane gigantesco e diventare lui il suo tutore. Ottemperando alla favola originale Geppetto dunque c’è poco, e questo è un peccato. Perché quando manca il resto delle mirabolanti avventure di Pinocchio fatica a tenere alto l’intrattenimento.

L’umorismo, l’azione e l’immaginazione di questo film, benché superiori a qualsiasi esperimento fantastico mai tentato in lo stesso sono molto lontani da quelli che i bambini sono abituati a consumare. La scelta di riproporre in maniera fedelissima Collodi affossa la componente narrativa del film e gli leva presa sul pubblico. Dall’altra parte però la messa in scena è incredibile, senza mezzi termini. L’impatto visivo di ogni scena e ogni personaggio è fantastico, il lavoro su protesi e maschere è di primissimo ordine come anche quello sugli ambienti. Davvero questo Pinocchio è il primo (tra quelli realizzati dal vero) a vivere in un mondo magico, in cui tutto è possibile anche se non sembra. Una magia latente, lontana, evocata con stupore ogni volta e profondamente italiana. E già solo realizzare questo, influire sui personaggi lavorando sul paesaggio, è un trionfo di cinema incredibile che non riesce a nessun altro regista e riempie gli occhi.

Contemporaneamente pieno zeppo di idee (il Gatto e la Volpe meriterebbero una trattazione a parte, così come la massa di altri burattini e come guardino Pinocchio) ma anche complicato da godere epidermicamente, questo film così palesemente indirizzato ad un pubblico ampio sembra purtroppo averne uno stretto, raffinato e appassionato delle clamorose capacità visive di Garrone e della sua visione di mondo. Paradossalmente non siamo lontani da Dogman, Gomorra o Reality (figuriamoci da Il racconto dei racconti!). Nel testo di Collodi infatti Garrone legge soprattutto un mondo profittatore. Come sempre tutti cercano di fregare Pinocchio, tutti cercano di prendergli qualcosa o sfruttarlo, tuttavia qui per la prima volta la favola sembra restituita alla sua missione originale, cioè mettere in guardia i bambini riguardo un mondo terribile che li aspetta fuori dalla porta. Ci sono una cattiveria e una meschinità in questo film che si annidano ovunque, un universo di predatori che ad un occhio adulto risultano evidentemente spinti da fame e miseria, da disperazione e bisogno, e dunque violentissimi. L’uomo, quando non è animato da un amore infinito come Geppetto, è una bestia.

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