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giovedì, Ago 06

Può esserci un trumpismo senza Trump?



Da Wired.it :

Secondo i sondaggi il presidente Usa è messo male per l’Election Day, ma la sua ideologia e le cause del suo successo possono trovare successori che prenderebbero il suo posto in caso di sconfitta a novembre

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump non vive un bel momento. È in svantaggio di almeno 10 punti percentuali rispetto al suo futuro sfidante alla Casa Bianca, il democratico Joe Biden, in ogni sondaggio nazionale che si rispetti. I focolai di coronavirus stanno mietendo vittime in tutto il paese, e con la gente ancora recalcitrante a uscire di casa e consumare, l’economia non dà segnali robusti di ripresa. L’amministrazione sembra divisa su come affrontare la crisi: in alcuni stati-chiave per le presidenziali, vinti di slancio dall’ex-immobiliarista nel 2016, il suo vantaggio sembra essersi eroso. Persino Fox News, un tempo la rete-maestra dei conservatori, sembra avergli voltato le spalle.

Quasi ogni campagna presidenziale perdente ispira libri e articoli costruiti intorno a scenari ipotetici, a una storia alternativa: come sarebbe potuta andare, se. Ma se anche Trump dovesse subire la più cocente sconfitta degli ultimi trent’anni, sarà difficile per chiunque affermare che una strategia diversa avrebbe cambiato il risultato. Perché Trump, come candidato e presidente, conosce solo un approccio: quello di urlare con tutto il suo fiato la minaccia del socialismo alle porte, dell’immigrazione incontrollata e delle sinistre. Non importa quanto il presidente proverà a cercare un epiteto più potente di Sleepy Joe per definire Biden, si tratta di un voto su Donald Trump, piuttosto che sul suo rivale, e i repubblicani dovrebbero accettare che il loro candidato non cambierà mai.

Naturalmente, nei prossimi tre mesi le cose invece potrebbero cambiare. Il progresso del vaccino per il Covid-19 potrebbe subire una improbabile accelerazione. Potrebbe scoppiare un qualche conflitto armato che rinsalda i cuori e le menti degli americani; le proteste di piazza potrebbero superare davvero il limite, facendo dimenticare l’incompetenza dell’amministrazione; Joe Biden potrebbe incappare in qualche gaffe clamorosa. Ma comunque vada, l’Election Day sarà un referendum su di lui. E se lui non ne uscisse bene, che succederebbe?

Il futuro del trumpismo

C’è una diffusa ipotesi nei circoli del Gop secondo la quale, anche se Trump dovesse perdere la Casa Bianca, la sua politica continuerà a sopravvivere. È per questo che diverse figure politiche conservatrici, affermatesi negli ultimi anni, stanno cercando di essere ancora più irremovibili nel loro trumpismo rispetto al presidente stesso.

Si prenda Josh Hawley: 39 anni, diventato il più giovane membro del Senato dopo una vittoria a sorpresa nel 2018 contro una potente democratica in carica, si è rapidamente fatto largo nei circoli repubblicani di Washington e nel dibattito intellettuale. Il suo nome è spesso indicato come un potenziale architetto di punta dell’ideologia del presidente, anche dopo una sua possibile sconfitta. I suoi discorsi sfidano con forza l’ortodossia repubblicana proprio nel modo in cui lo faceva Trump durante la campagna del 2016: inveendo contro l’umiliazione dei lavoratori americani, condannando la deferenza politica concessa alle multinazionali e ricordando calorosamente il valore civico dei sindacati. Hawley parla spesso del “grande centro americano”, schiacciato dal declino delle comunità locali, dalla concentrazione di ricchezza e dall’ascensore sociale bloccato. E di come, magnificando gli effetti virtuosi dell’economia di mercato, il neoconservatorismo di Bush ha ignorato i suoi effetti sulla classe media e operaia.

Anche le tesi più paranoiche diffuse dal sottobosco trumpiano hanno ottimi studenti giovani. L’uomo appoggiato da Trump alle primarie del Partito repubblicano in Colorado, per un posto alla Camera, è stato battuto da un candidato ancora più a destra, l’esordiente Lauren Boebert, l’imprenditrice di 33 anni convintissima sostenitrice della teoria del complotto di QAnon, secondo la quale c’è una trama segreta organizzata da un presunto stato profondo contro Trump. Convinta sostenitrice del Secondo emendamento, Boebert possiede un ristorante, Shooters Grill, che è rimasto aperto durante la pandemia e incoraggia i clienti a girare con le armi bene in vista. La sua filosofia in un tweet? “Distanziamento sociale dal socialismo”.

Tra le figure che si posizionano alla guida del Partito repubblicano post-Trump c’è Nikki Haley. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu è uno dei pochi funzionari dell’attuale amministrazione ad essersene andata senza rancore, e ne ha approfittato per costruire diligentemente un profilo nazionale. Ex governatrice della Carolina del Sud, tra le poche donne di colore negli alti ranghi repubblicani – è di origine punjabi – Haley è spesso citata come potenziale candidata repubblicana alle presidenziali del 2024 o del 2028, a seconda che Trump vinca o meno la rielezione a novembre. Se in alcune occasioni ha mantenuto le distanze da lui, in altre ha fatto da eco per le stesse argomentazioni: contro la cultura della cancellazione, oppure contro l’ipotesi di togliere fondi alla polizia, contro la rimozione delle statue e delle bandiere confederate. Secondo alcune voci, Trump potrebbe addirittura sceglierla come vicepresidente per il prossimo quadriennio, al posto di Mike Pence.

È importante ricordare che ci sono diversi punti dell’agenda di Trump più importanti di Trump stesso, o del suo atteggiamento. E continueranno a pesare come fattori politici negli anni che verranno. -anche se Biden dovesse vincere con un margine record. Qualunque cosa succeda, molti repubblicani continueranno ad avere in odio i giganti della Silicon Valley perché convinti che essi sopprimano le voci conservatrici, e continueranno a essere convinti che i Jeff Bezos e i Bill Gates di questo mondo abbiano accumulato troppo denaro, potere e influenza.

Al di là di chi dovesse vincere a novembre, l’elettorato americano sarà ancora più scettico e sospettoso della Cina di quanto lo è ora. Un anno fa, Biden sembrava una delle voci più benevole nei confronti di Pechino tra tutti i candidati alle primarie democratiche. Oggi, per conquistare il Midwest, Biden pubblica messaggi nei quali accusa Trump di essere più delicato con la Cina di quanto sarebbe lui. Il sostegno per società multietniche, aperte agli immigrati e al commercio è in aumento, e Biden non ha mai imitato l’ostilità di Trump nei confronti degli stranieri. Ma è difficile immaginare uno scenario in cui il frontrunner democratico proponga un vistoso rilassamento delle leggi sull’immigrazione, o un armistizio con i nemici commerciali.

Se populismo è una ideologia politica nebulosa, capace di adattarsi a programmi e convinzioni diversi, è improbabile che una presidenza Biden possa improvvisamente ribaltare le priorità e preoccupazioni che hanno contribuito alla vittoria di Trump quattro anni, o restaurare la fiducia nelle élite e nella tecnocrazia.

Paradossalmente, a dare manforte al populismo post-Trump potrebbero essere gli stessi elettori democratici, specie quelli convinti che il sistema bipartitico non è più funzionale e che lo status quo vada rivoltato come un calzino. È la cosiddetta “sinistra anti-anti-Trump”, come l’ha definita Jonathan Chait sul New Yorker: una sinistra incomprensibile ai fan di Hillary Clinton e ai centristi ma che ha una sua logica interna, convinta che siano stati proprio i limiti e gli eccessi del progressismo liberal a produrre un sintomo quale Trump, e che l’eccessiva focalizzazione sul Russiagate in questi mesi, sulle mancanze formali del presidente possa essere percepita dai disaffezionati, dai poveri e dagli ultimi come un tentativo di restaurare il vecchio regime dei Bush e degli Obama, e di assolverlo dalle sue colpe.

Una sinistra, questa, che non è monolitica e ha diverse correnti e sfumature, ma che è riuscita a incarnarsi durante le primarie Dem nella candidatura di Tulsi Gabbard: donna, veterana di guerra, patriottica e protezionista, è sembrata quasi rappresentare – ripetendo che l’immigrazione va modulata e filtrata – il contraltare realista e conservatore di Alexandria Ocasio-Cortez, la speranza delle giovani generazioni radical e metropolitane, populista sì ma più di fama che di fatto. Le primarie per Gabbard sono andate malissimo, e subito dopo è sparita dai radar, ma dovendo scommettere su una rivolta interna ai Democratici sul modello del populismo di sinistra che abbiamo visto in Europa, soprattutto in caso di sconfitta di Biden, il suo nome non andrebbe liquidato.

quello che verrà dopo Trump dipenderà molto dalle cause che hanno generato quell’aberrazione, ammesso che sia tale

Insomma, sarebbe un errore presumere che il Partito repubblicano, o l’intera società americana possano compiere una rottura permanente con l’esperienza di questi anni. E quello che verrà dopo Trump dipenderà molto dalle cause che hanno generato quell’aberrazione, ammesso che sia tale. I repubblicani più furbi, anche se adesso non ne parlano, si rendono conto che la demografia mutevole rischia di segnare il loro destino politico. E che man mano che la maggioranza bianca della nazione si restringerà, e i giovani saranno sempre più progressisti, il Gop non potrà sopravvivere se il suo appello centrale sarà la minimizzazione del cambiamento climatico, la xenofobia anti-immigrazione e il razzismo più o meno sottilmente mascherato.

Ma il futuro della democrazia americana dipende da quanto sostenibile sarà la normalità a cui si vorrebbe tornare. Se quella promessa si rivelerà vuota, la nuova causa persa che verrà romanticizzata dai repubblicani nel 2024 sarà proprio l’esperimento di Trump, piuttosto che la Confederazione sudista, le cui statue il presidente adesso si fa protettore. In definitiva, saranno i suoi nemici, più che i suoi discepoli, a doversi impegnare affinché la nostalgia per l’avventura che lui oggi rappresenta non prenda subito piede.

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[Fonte Wired.it]