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mercoledì, Mar 11

Quali numeri sul nuovo coronavirus sono davvero importanti?



Da Wired.it :

Ovunque troviamo continuamente numeri e aggiornamenti sull’evoluzione della Covid-19. Proviamo a mettere in ordine quali dati siano realmente significativi e quali inutili

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(foto: Lu ShaoJi/Getty Images)

Bollettini, aggiornamenti, dati incompleti, recuperi del giorno precedente. Dati regionali, nazionali, provinciali, ospedalieri. Numero di tamponi, di persone positive, di casi confermati, di ospedalizzazioni, di ricoveri in terapia intensiva, di decessi. Persone estubate, tolte dalla terapia intensiva, dimesse, guarite, negativizzate. Pazienti positivi oggi, pazienti positivi totali, percentuale di occupazione delle terapie intensive e ampliamento dei posti a disposizione. Trend, interpolazioni matematiche, modelli esponenziali, grafici su scala logaritmica, proiezioni del picco, scostamento dall’andamento atteso, rallentamenti, accelerazioni, flessi. Chi è salvo dal coronavirus rischia di perdersi nella matematica.

In questo articolo non troverete nemmeno un numero, ma solo qualche tentativo di fare chiarezza su dove concentrare l’attenzione nel momento in cui una serie di dati ci viene gettata addosso.

Troviamo i numeri significativi

La prima domanda che ci si dovrebbe porre in proposito – e che può avere una risposta che cambia nel tempo – è quali siano i dati davvero significativi per capire come sta cambiando il quadro epidemiologico italiano di giorno in giorno. Dai bollettini, con l’appuntamento fisso delle 18:00, abbiamo imparato che i dati più chiacchierati sono tre: il numero di persone positive al coronavirus, il numero di ricoverati nelle terapie intensive e il numero di decessi. Ciascuno di questi tre dati, però, va spiegato.

Anzitutto il numero di casi positivi, che di per sé sarebbe il più utile per tracciare la curva epidemiologica, era inizialmente il più utile ma sta mostrando negli ultimi giorni qualche segnale di deterioramento nella qualità del dato. Però non stupisce: con un numero sempre maggiore di persone positive, e i tamponi che si accumulano giorno dopo giorno, è del tutto naturale che si possano generare ritardi, falle nella trasmissione e rallentamenti nella filiera di analisi. Non si tratta solo dei due episodi (2 marzo e 10 marzo) in cui i grafici dei contagi hanno mostrato un rallentamento artefatto a causa di un dato nazionale ancora parziale, ma di un tema più generale: i tamponi (soprattutto in Lombardia) stanno venendo via via limitati a persone con sintomi sempre più evidenti, e quindi la quota parte di chi – seppur contagiato – non viene registrato è destinata inevitabilmente ad aumentare.

D’altra parte da giorni, proprio come per la questione della letalità apparente, è noto che i casi positivi ufficiali siano una sottostima della situazione reale, dunque verrebbe da chiedersi quanto quel valore sia adatto per farsi un’idea della situazione. Pure il dato dei casi positivi cumulati (anziché dei giornalieri) soffre della stessa criticità di base, anche se perlomeno a colpo d’occhio genera andamenti meno altalenanti.

Il secondo numero ribadito ovunque è il calcolo dei ricoverati in terapia intensiva. Di per sé oggi questo è un indicatore molto migliore del precedente, perché fotografa con buona precisione la situazione dei pazienti più gravi. Almeno fino al momento in cui, come purtroppo sta iniziando già ad accadere in Lombardia, i posti disponibili in terapia intensiva e sub-intensiva si avvicinano a saturazione, e dunque ci sono persone che dovrebbero essere ricoverate in quei reparti ma non possono essere assistite.

L’eventuale rallentamento dei ricoveri in terapia intensiva (che in effetti dallo scorso weekend è in corso in Lombardia, con un trend sempre crescente ma a un ritmo ridotto) può essere quindi solo un indice dell’esaurimento della disponibilità, e non la sperata inversione del trend. In prospettiva, possiamo immaginare che il numero di ricoveri crescerà di pari passo con il progressivo aumento della capacità dei reparti stessi, che stanno venendo via via potenziati. Ma non sarà più una misura attendibile della curva epidemiologica, a meno che qualcuno non raccolga lo straniante dato dei pazienti che dovrebbero essere ricoverati in terapia intensiva.

Nonostante tanta polemica continui a montare sul numero dei decessi – con il mantra della distinzione tra morti a causa del coronavirus e morti con anche il coronavirus – di fatto si tratta dell’unico indicatore con valori incontestabili, raccolti in modo omogeneo nel tempo e tecnicamente semplice da tenere aggiornato di ora in ora.

Diversi analisti stanno proponendo di considerare, come dato più rappresentativo possibile, la somma dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi. Anche se il primo addendo ha le debolezze statistiche già raccontate, da un punto di vista molto freddo e tecnico esiste un meccanismo di auto-compensazione. Purtroppo, infatti, le persone che dovrebbero essere ricoverate in terapia intensiva e non possono ricevere assistenza (secondo quanto riportano le cronache, per ora tipicamente molto anziane e con diverse patologie pregresse) hanno una probabilità di sopravvivenza estremamente bassa, quindi con poco scarto temporale rientrano comunque nel conteggio, alla voce decessi.

Tralasciamo i numeri distrattori

Ben consapevoli del valore incoraggiante e positivo che il computo dei guariti può avere, da un punto di vista dell’analisi matematica si tratta di un dato sostanzialmente privo di significato. Il motivo è duplice: da un lato perché dipende fortemente da quanti sono i casi lievi o poco gravi inseriti nel conteggio dei casi positivi, e poi perché – fortunatamente – sappiamo che in giro ci sono molti più guariti dei dati ufficiali, ossia persone che hanno superato l’infezione virale senza particolari problemi.

Certo, il conto dei guariti serve allo scopo di ottenere per differenza il valore degli attualmente positivi (che non sono i positivi totali), ma di fatto tutti e tre i numeri che compongono l’operazione hanno la solita falla di fondo dei tanti casi fantasma non registrati. Viene dunque da chiedersi se questi dati meritino davvero tutta l’attenzione che quotidianamente ricevono sui media, o se invece andrebbero giusto citati come dato accessorio. Naturalmente il fatto che ogni conferenza stampa della Protezione civile inizi proprio con il dato dei guariti e il dato dei casi positivi non aiuta a far passare questo concetto (ma ovviamente è utile da un punto di vista comunicativo a non alimentare il panico, sebbene possa stimolare a sottovalutare la situazione).

Di altre statistiche inutili sono pieni i giornali e i tiggì. Qualche esempio? Il numero delle persone positive domiciliate confrontato con quello degli ospedalizzati, che a parte una certa soggettività nel decidere chi ricoverare e chi no soffre dei soliti problemi determinanti dei casi fantasma e delle capienze massime dei reparti ospedalieri. Oppure il numero di tamponi (o il rapporto casi positivi/tamponi), che naturalmente dipende da quanto sforzo viene profuso nel fare questi test, dal criterio con cui si scelgono le persone da sottoporre all’esame e dalla rapidità di analisi dei campioni da parte dei laboratori. E poi, ancora, statistiche sulla distribuzione per età dei casi positivi registrati (same old story) e sui passaggi dai ricoveri non intensivi alla domiciliazione. Per non parlare delle elucubrazioni sui confronti tra i dati del giorno prima e del giorno precedente, che oltre a essere spesso proposti su dati poco significativi (come il numero dei contagiati) soffrono dell’effetto ineludibile delle fluttuazioni statistiche.

Viceversa, altri dati che sarebbe utile conoscere non sono disponibili, vengono ignorati o relegati negli angoli della comunicazione. Per esempio la percentuale di persone ricoverate in terapia intensiva che supera con successo la fase critica, la durata media del ricovero in terapia intensiva (sia per i casi con esito positivo sia per quelli che si concludono con l’exitus) e l’aggiornamento giorno per giorno dello stato di occupazione delle terapie intensive. Utile invece, soprattutto per analizzarne l’evoluzione nel tempo, è la distribuzione per età dei ricoveri in terapia intensiva, oltre a quella fornita quotidianamente relativa ai decessi. Prendiamo quindi l’epidemia in corso come un’occasione di apprendimento (non solo per le istituzioni, ma anche per i media) su cosa comunicare e come farlo nel caso di emergenze globali di questo tipo.

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[Fonte Wired.it]