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martedì, Dic 15

Quando potremo contare sugli effetti del vaccino anti Covid-19?



Da Wired.it :

Ci sono ancora troppe incognite per avere una risposta precisa: come protezione a livello di popolazione, al momento si parla della fine dell’estate, in vista della stagione fredda 2021-2022. Sempre ammesso che da qui in avanti tutto fili liscio

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(foto: Ryoji Iwata/Unsplash)

Non che sia una novità o una sorpresa, ma ora l’ha chiarito pubblicamente anche il ministro della salute Roberto Speranza: le vaccinazioni anti Sars-Cov-2 che dovrebbero partire a gennaio 2021 (ammesso che arrivi, come pare probabile, il via libera dell’Agenzia europea per i medicinali Ema) saranno solo una quota simbolica. Si prevede in particolare che tutti gli stati europei inizino la campagna di vaccinazione nello stesso giorno, ribattezzato per l’occasione V-day, e che poi le somministrazioni vadano a regime nel corso delle settimane successive.

Più che sapere quando sarà approvato il vaccino e quando sarà iniettata la prima dose nel nostro paese, dunque, la questione che pare essere rilevante è di prospettiva. Vale a dire, tra quanto tempo potremo davvero beneficiare, come popolazione, dell’effetto di protezione garantito dal vaccino? Naturalmente ogni singola dose iniettata rappresenta un piccolo passo in avanti, ma tra le prime somministrazioni alle categorie più a rischio e il raggiungimento di qualcosa di simile a un’immunità di gregge (o per lo meno a un abbattimento sostanziale della circolazione del virus) ce ne passa. Ci passano, in sostanza, decine di milioni di dosi.

Le vaccinazioni del 2021, sulla carta

Con i piani strategici nazionali più fluidi che mai, tutti gli annunci meritano di essere presi con il beneficio del dubbio. A oggi, comunque, abbiamo a disposizione almeno un quadro indicativo. Il V-day, che per ragioni d’immagine si sta cercando di anticipare il più possibile a livello di Unione europea, dovrebbe essere già nella prima parte di gennaio. E nella migliore delle ipotesi potremmo ricevere sempre a gennaio (e addirittura già tra il 10 e il 15 del mese) un totale di un milione e 874mila dosi del vaccino Pfizer-Biontech.

Questo primo pacchetto di dosi, che basterà per poco meno di un milione di persone (dato che dovrebbero servire due somministrazioni a testa), sarà destinato agli operatori sanitari e ai frequentatori delle Rsa, cioè sia al personale sia agli ospiti. Lazio, Lombardia ed Emilia Romagna riceveranno poco meno della metà delle dosi complessive, anche se i numeri esatti sono ancora in fase di definizione. E se la logica delle priorità è chiara, è ovvio che con questa prima fase non si potrà sperare di contenere davvero la circolazione del virus, ma solo eliminare una parte dei focolai e proteggere chi opera nelle strutture sanitarie.

La scadenza successiva sul calendario è la fine di marzo, entro cui sono state promesse all’Italia un totale (incluse le precedenti) di oltre 10 milioni di dosi: 8,75 milioni Pfizer-Biontech e 1,35 milioni da parte di Moderna. Una quota sufficiente a coprire ciò che manca tra operatori sanitari e Rsa (circa 2 milioni di persone in tutto) e buona parte degli over 80, che sono circa 4,4 milioni. Contando un’adesione certamente inferiore al 100%, le dosi potrebbero essere sufficienti a coprire del tutto le persone disposte a vaccinarsi di queste categorie. Ma di nuovo, dato che si tratta (a essere ottimisti) di un 10% della popolazione, gli effetti di protezione a livello di sistema-paese resteranno limitati. Vale a dire, la curva dei contagi potrebbe esserne influenzata appena, e le misure di contenimento restare necessarie come nel 2020.

Da aprile in poi lo scenario è ancora meno nitido. Si parla di un totale di 200 milioni di dosi circa in arrivo nel corso dell’anno, in modo da vaccinare potenzialmente tutti due volte e lasciare un fondo cassa corposo. I contratti riguardano in particolare AstraZeneca (40 milioni di dosi), Johnson & Johnson (27), Sanofi (40), Pfizer-BioNTech (27), CureVac (30) e Moderna (11). La priorità dovrebbe andare alle persone di età compresa tra i 60 e i 79 anni (13,4 milioni di italiani) e a chi ha patologie pregresse importanti (7,4 milioni). Secondo le previsioni del presidente del Consiglio superiore di sanità Franco Locatelli, tutto accadrà tra la primavera e i mesi caldi, perché “entro fine estate sarà offerto il vaccino a tutti i residenti in Italia.

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(foto: Unsplash)

Quanti vaccini serviranno, per iniziare a ragionare

Fare pronostici precisi sulle tempistiche e valutazioni quantitative accurate non è facile allo stato attuale delle cose. Ma almeno come tempi un’indicazione sembra esserci: se tutto fila liscio, potremmo arrivare a un buon livello di distribuzione del vaccino in qualche momento nel corso della prossima estate. Tentare di essere più precisi di così, al momento, sarebbe solo un pronostico da sala scommesse. Va tenuto conto, in ogni caso, che una persona potrà dirsi vaccinata solo dopo alcuni giorni di distanza dalla seconda dose, la quale sarà somministrata indicativamente a tre settimane dalla prima.

Riguardo alla copertura da raggiungere, in termini percentuali, ci sono di nuovo diversi elementi di incertezza. Di sicuro il 30% della popolazione è ritenuto una quota insufficiente, tanto che il viceministro della salute Pierpaolo Sileri ha affermato che qualora la copertura complessiva fosse così bassa potrebbe essere necessario ricorrere all’obbligo vaccinale. E all’estremo opposto, un 85%-90% di copertura significherebbe certamente aver raggiunto di gran lunga l’obiettivo.

Volendo raffinare un po’ le stime, l’Organizzazione mondiale della sanità ha valutato che la circolazione del virus potrebbe essere arrestata in modo significativo e soddisfacente con una copertura della popolazione tra il 65% e il 70%, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha dato come numero di riferimento il 67%, e in Germania Angela Merkel ha annunciato pubblicamente che il traguardo si colloca tra il 60% e il 70%. Punto percentuale in più o punto percentuale in meno, l’accordo è piuttosto ampio. Insomma, si parla di una quarantina di milioni di italiani.

Sono comunque percentuali piuttosto alte: oltre a tutte le persone che non possono essere sottoposte alla vaccinazione, e a tutte quelle che non intendono farla per motivi vari, c’è un’importante questione che riguarda i bambini e in generale i minorenni. Solo in Italia si tratta di poco meno di 10 milioni di persone (il 16% della popolazione), e finché i vaccini non saranno autorizzati anche per questa fascia di età il massimo che è possibile raggiungere di copertura è l’84%. Il che significa, in altri termini, che a spanne bisognerebbe raggiungere una copertura dell’80% tra i 50 milioni di maggiorenni.

Questo obiettivo pare così ambizioso che più di quando lo si raggiungerà sembra sensato chiedersi se mai lo si raggiungerà. Ma va comunque detto che già con una copertura complessiva del 50%-60% della popolazione il vaccino inferirebbe un bel colpo alla pandemia. In modo da farci trovare ben più pronti per la prossima stagione fredda, quella 2021-2022.

Cosa vuol dire contare sul vaccino

Tra un vaccino efficace ben distribuito e la fine della pandemia, però, ce ne passa. Sono ancora troppe, infatti, le questioni in sospeso da risolvere prima di cantare vittoria e – come tutti spereremmo – poter davvero allentare le attenzioni, le misure e le limitazioni anti contagio.

Il problema meno rilevante sembra essere la durata della protezione garantita dal vaccino. Anche se fosse di pochi mesi appena, infatti, sarebbe sufficiente rivaccinare le persone periodicamente. E a meno che il ritmo di vaccinazione diventi così alto da mettere in crisi il sistema produttivo (cosa che pare improbabile), la situazione sarebbe più che gestibile.

L’incognita più seria, invece, riguarda da che cosa effettivamente il vaccino protegga. Ossia, se sia efficace solo nell’evitare lo sviluppo di forme gravi o sintomatiche di Covid-19, oppure se sia in grado di prevenire anche la trasmissione del virus Sars-Cov-2 da persona a persona. In questa seconda ipotesi tutto sarebbe più semplice, e si potrebbe ambire a raggiungere più facilmente l’immunità di gregge, mentre se il virus riuscirà a continuare a circolare ci troveremmo nella situazione in cui i non vaccinati resterebbero a rischio di contagio proprio come ora. Peraltro, non è ancora chiaro se chi ha superato la malattia debba o meno essere vaccinato, e con quale strategia.

Tra le altre questioni rilevanti c’è l’effettiva efficacia dei vaccini, che su un campione di decine di milioni di vaccinati potrebbe avere un valore diverso dal 90%-95% ottenuto nei test di sperimentazione. E quindi far variare la percentuale target del 67%. Poi la gestione della pandemia a livello mondiale: in un contesto globalizzato, il tasso di copertura raggiunto in Italia non è l’unico parametro rilevante, ma occorrerà vedere anche quanto gli altri paesi riusciranno a portare a termine le proprie campagne vaccinali. Nel panorama europeo è plausibile aspettarsi una certa uniformità, mentre altri paesi del mondo potrebbero avere coperture decisamente inferiori (ma anche superiori) alle nostre. Insomma, il viaggio verso l’uscita dal tunnel della pandemia prosegue, ma la meta non è a distanza di un vaccino.

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[Fonte Wired.it]