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mercoledì, Giu 17

Quibi, il Netflix degli smartphone, è in crisi nera



Da Wired.it :

La storia triste di come Hollywood ha cercato di entrare a gamba tesa nella guerra dello streaming pensando che soldi e potere bastassero a scalare a battere le altre piattaforme

Servivano e serviranno ancora 20 milioni di utenti paganti perché Quibi possa rimanere in piedi. Al lancio 1,7 milioni di utenti hanno creato un account e ora dopo quasi 3 mesi sono solo 3 milioni ad averlo fatto, ma ci sono 3 mesi gratuiti e un conto è farsi un account per provare, un altro è poi voler pagare per quello che la piattaforma solo mobile offre: serie, show e programmi di second’ordine quando va bene, quart’ordine quando va male. Un disastro frutto di un’arroganza imprenditoriale senza limiti.

Quibi, come avevamo raccontato, nasceva per essere il Netflix degli smartphone, con contenuti brevissimi (circa 8 minuti) mordi e fuggi da guardare mentre si attende, mentre si sta in fila o mentre si ha un tempo morto. Di certo il lancio durante la quarantena non ha aiutato un’app pensata per inserirsi nella vita quotidiana, quella sarà la linea di difesa, ma sotto c’è di più: ci sono due 70enni, Meg Whitman (ex-CEO di tutto da HP a eBay) e Jeffrey Katzenberg (ex capo di Hollywood prima alla Disney negli anni ‘90 e poi fondatore della Dreamworks) che hanno radunato una cifra senza nessun senso,1 miliardo e 750 milioni di dollari, in investimenti, pubblicità e finanziamenti per il lancio. Una startup con una potenza di fuoco impensabile che credeva di imporre se stessa ai ragazzi avendo dietro colossi come The Walt Disney Company, NBCUniversal, Sony Pictures Entertainment, WarnerMedia, Liberty Global, ViacomCBS e Alibaba Group.

Il 26 maggio i principali inserzionisti pubblicitari hanno voluto rivedere verso il basso i loro contratti. Il 14 Giugno è uscita la notizia di contrasti molto forti tra i generali (Katzenberg e Whitman). Aria da fine impero. È facile dirlo a posteriori e dopo aver provato il servizio per diversi giorni ma sembra incredibile l’idea che un manager da grande studio di produzione abbia sbagliato proprio i contenuti. Con show sul cibo sparato sui concorrenti, o uno scherzi a parte americano resuscitato da MTV (Punk’d), un film d’azione a puntate con il fratello meno noto di Chris Hemsworth e un altro catastrofico/survival con Sophie Turner, era proprio difficile che qualcuno volesse pagare la stessa cifra che dà a Netflix per qualcosa che può fruire solo sul telefono (stesso device su cui guarda le altre piattaforme).

Il segreto di Quibi doveva essere la sua tecnologia e la sua idea, cioè che si potesse guardare contenuti in forme brevi e sul cellulare, quasi a prescindere dai contenuti stessi. Tutti i grandissimi nomi coinvolti (Raimi, Spielberg, Del Toro ecc. ecc.) in realtà stanno lì come produttori non come veri creatori, e per ogni nome altisonante non c’è un contenuto altrettanto allettante. Anche lo show con Jennifer Lopez ha Jennifer Lopez solo nella prima puntata. Non c’era insomma nessuna killer application, nessun House Of Cards che potesse spingere il servizio, niente che potesse fare da grimaldello verso i portafogli doveva essere l’idea imprenditoriale (per l’appunto la fruizione su smartphone), tanto che una buona parte di quel miliardo e 750 milioni è andato in un algoritmo capace di individuare le parti dell’immagine da inquadrare quando il cellulare è in posizione verticale, cioè prendere un’immagine che nasce orizzontale e trovare in automatico un modo per vederla in verticale a schermo intero inquadrando le parti giuste. Un’idea folle.

Ancora di più quella di Quibi era un’idea potenzialmente disruptive, una che prometteva di aprire un nuovo capitolo nella maniera in cui fruiamo di contenuti, un’idea che somiglia a quelle delle startup ma proviene da due colossi che hanno avuto l’arroganza incredibile di imporre la propria visione pensando che davvero potessero imporre un utilizzo dall’alto. Con i soldi. In realtà la storia delle startup più distruttive è fatta di partenze lente e tanti fallimenti e revisioni fino a che non diventa chiaro anche per i produttori della tecnologia quale sia il vero utilizzo migliore della loro invenzione. Si parla di early adopters, beta test e piccole comunità di utilizzatori che sperimentano, inseriscono la tecnologia nella loro vita capendo quali aspetti servono o funzionano di più.

Invece Katzenberg e Whitman hanno capitalizzato altro, l’eccitazione del settore e degli inserzionisti per le piattaforme e per quell’idea (molto forte nell’industria) che la gente guardi tutto sui cellulari. Persone molto lontane dalla quotidianità, molto lontane dall’uomo comune che immaginano come viva l’uomo comune tramite indagini di mercato. Quibi passerà così alla storia come un prodotto secondario, una vittima della guerra delle piattaforme, dell’eccitazione di Hollywood e della corsa alle piattaforme. Doveva essere qualcosa di noto (perché viene da una vecchia conoscenza di Hollywood), di comune, di facile e appetibile, di simile al vecchio mondo che dava sicurezza a tutti gli inserzionisti e agli investitori che vedono in Netflix e Prime qualcosa di troppo nuovo, di lontano, che viene da altri mondi (dalla tecnologia sostanzialmente) e che vogliono essere diversi.

Quibi è stata la Hollywood classica che ha detto “Ce la facciamo noi la nostra innovazione”. Non funziona così e non è andata a finire bene.

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[Fonte Wired.it]