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martedì, Lug 21

Recovery Fund, chi vince e chi perde



Da Wired.it :

Conte torna a casa con più soldi ma ha dovuto cedere su una governance che potrebbe dare qualche problema

Ursula Von der Leyen e Charles Michel (Foto: Chine Nuovelle/Sipa)

Chi vince e chi perde? Dal Consiglio europeo record esce anzitutto vittoriosa l’Unione europea che, come avevamo anticipato in piena trattativa, scopre il bluff dei sovranisti. Mai, infatti, vertici di Bruxelles e Parlamento a maggioranza Salvini, Le Pen e compagnia avrebbero saputo arrivare a un accordo così imponente e ambizioso. E scopre anche le carte degli euroscettici più freschi, ormai sparsi un po’ ovunque: senza la ragnatela di sostegno tessuta dalle istituzioni Ue, una rete di sicurezza per Italia e Spagna a rischio bancarotta, dal cataclisma del coronavirus molto semplicemente non ne saremmo usciti. Il messaggio era o tutti o nessuno, e l’ha capito perfino Mark Rutte, il “signor no” olandese.

La risposta rapida e massiccia è arrivata: alla sospensione delle regole di bilancio e alle norme sugli aiuti di Stato Commissione e Banca centrale si sono aggiunti nei mesi scorsi un clamoroso programma di acquisto di titoli pubblici della Banca centrale europea e stanziamenti imponenti per cassa integrazione e investimenti. Mancava il passo finale, quello più coraggioso ma da cui dipendeva il senso di tutto il resto, cioè la mutualizzazione dei problemi dei paesi più colpiti attraverso l’emissione di debito comune, per quanto formalmente in capo alla Commissione: alla fine è arrivato e quei 750 miliardi di euro del Recovery Fund Ursula Von der Leyen andrà a prenderli sui mercati emettendo eurobond. Uno scenario impensabile appena sei mesi fa, come d’altronde impensabile (anche se alcuni esperti non sarebbero d’accordo) erano simili conseguenze legate alla pandemia.

A tutto questo è agganciato l’accordo sul prossimo bilancio comunitario da 1.074 miliardi di euro, che prevede per i cosiddetti “frugali” sostanziosi sconti alle loro quote contributive. Ma la prima volta è appunto del fondo per la ripresa, costituito da 390 miliardi di sussidi e 360 di prestiti a tassi vantaggiosi. Dovevano essere rispettivamente 500 e 250, anche in questo caso Paesi bassi e compagnia hanno tagliato qualcosa. Senza però la volontà di colpire la quota destinata all’ che a conti fatti è aumentata sebbene con differenti proporzioni, spingendosi fino a 209 miliardi complessivi.

Piuttosto, è sulla governance che bisognerà vederci un po’ più chiaro: non c’è un diritto di veto di un singolo paese, e non avrebbe mai potuto esserci, ma i piani di riforme a cui sarà legata l’erogazione dei soldi dovranno essere approvati non solo dalla Commissione ma anche dal Consiglio europeo  a maggioranza qualificata. E se qualcosa non andrà per il verso giusto, chiunque potrà tirare il freno di emergenza nel contesto del Comitato economico e finanziario e chiedere di mettere sotto la lente le azioni di uno specifico governo nel successivo Consiglio Ue, domandando alla Commissione di sospendere intanto i pagamenti. Una pratica che potrebbe durare anche tre mesi, senz’altro una bella grana.

Il debito comune porterà fra l’altro anche a sacrosante tasse europee condivise, come sullo zucchero e la plastica, che contribuiranno al rimborso degli interessi degli eurobond, altra prima volta storica. Ora l’accordo andrà votato dai singoli parlamenti e poi da quello europeo. I fondi saranno distribuiti fra 2021 e 2023 e i prestiti andranno rimborsati dal 2027. E in effetti l’altro problema ruota intorno ai tempi: prima di aprile dell’anno prossimo non si vedrà un centesimo. Per cui i paesi più in difficoltà dovranno trovare un modo piuttosto creativo (leggi: altro debito) per cavarsela almeno fino alla fine dell’anno, sebbene pare che le spese effettuate già da febbraio scorso – se riconducibili ai piani di riforma legati all’emergenza – potranno essere coperte con i fondi che si prevede di incassare dal Recovery Fund. Insomma, un pasticciato mosaico da comporre in attesa che l’operazione decolli davvero, dopo il braccio di ferro politico.

Chi vince e chi perde, quindi? Giuseppe Conte torna a casa con più soldi di quanti ne avesse in tasca quando è entrato, nel dettaglio con gli stessi sussidi e con più prestiti (127 miliardi invece di 90), e questo è già un grosso risultato. Ha disinnescato l’assurda pretesa di veti dei nordici sull’erogazione pur dovendo piegarsi a un sistema di approvazione preventivo in Consiglio e soprattutto al freno d’emergenza che chiunque potrà tirare in corsa. E che semina ostacoli sul prossimo anno. Tuttavia sembrano sistemi pensati più per eventuali ribaltoni sovranisti in Italia che per colpire il Conte Bis, specie finché una figura come quella di Roberto Gualtieri siederà al ministero dell’Economia quale garanzia assoluta di collaborazione e concertazione con Bruxelles. Insomma, se prepareremo un buon piano di riforme e non ci scosteremo troppo dagli obiettivi, intoppi nei trasferimenti non dovrebbero essercene. Così Conte torna in Italia più forte e con un risultato concreto, può probabilmente rinunciare nell’immediato al Mes, disinnescare il formicaio pentastellato e mettere all’angolo le destre, ferme ai ritornelli da propaganda balneare. Al Papeete le avevamo lasciate, stanno ancora lì.

Fuori dal quadro italiano, l’accordo costituisce ovviamente la più significativa eredità politica di Angela Merkel e una piattaforma intermedia per Emmanuel Macron, che hanno trattato insieme modulando le esigenze di non perdersi i paesi mediterranei (che sono fornitori importanti e anche mercati essenziali dei loro prodotti oltre che colossi che non possono fallire) e di contenere le pretese dei nordici. Ci sono riusciti e non c’è certezza che altri avrebbero ottenuto di meglio, visto quello che combinano in patria.

Il problema è che escono vincitori anche i governi sovranisti dei loro (presunti) amici dell’Est, per esempio il polacco Morawiecki e l’ungherese Orbán, che otterranno comunque una quota di fondi senza dover fare passi avanti sostanziali sullo stato di diritto che hanno violato negli ultimi anni imponendo leggi liberticide, e questo è purtroppo un effetto collaterale degli equilibri che hanno condotto al patto: per tutelare la solidarietà si sono di nuovo chiusi gli occhi sui valori fondamentali dell’Unione, con cui forse quei governi c’entrano poco.

In fondo nessuno esce davvero sconfitto, anche Rutte e Kurtz portano a casa sconti cospicui (quasi due miliardi di rimborsi annui per l’Olanda, 565 milioni all’Austria, un miliardo alla Svezia e quasi quattro alla Germania) e discreti risultati in termini di controllo dei trasferimenti svelando così la tattica tutta orientata agli equilibri interni che hanno seguito per mesi. Adesso bisogna accendere il motore e fare più in fretta possibile.

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[Fonte Wired.it]