L’approvazione del disegno di legge sull’autonomia differenziata ha acceso un intenso dibattito politico in Italia, culminando nella possibilità di un referendum abrogativo per annullare questo provvedimento: la proposta di legge, fortemente voluta dalla Lega e in particolare dal ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli, riconosce maggiore autonomia legislativa alle regioni su una serie di materie che attualmente sono di competenza concorrente tra lo stato e gli enti regionali, come sanità, istruzione, ricerca, lavoro e ambiente.
Come funziona il referendum abrogativo
In risposta all’approvazione del ddl autonomia, l’intera opposizione si è mobilitata per promuovere un referendum abrogativo: si tratta di uno strumento di democrazia diretta, previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana, che permette ai cittadini di abrogare una legge in vigore. Per indire un referendum abrogativo, è necessario raccogliere almeno cinquecentomila firme oppure ottenere il sostegno di cinque Consigli regionali.
La raccolta firme è un passo fondamentale per avviare il processo referendario: le forze di opposizione, dal Partito democratico al Movimento cinque stelle, fino ad Azione e +Europa, si sono unite per organizzare questa campagna e mobilitare mezzo milione di cittadini. Le firme devono essere raccolte e validate entro un periodo specifico, e una volta raggiunta la soglia, la richiesta viene presentata alla Corte di cassazione che ne verifica la validità.
Una volta indetto, il referendum richiede la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto per essere valido, ossia il cinquanta per cento più uno degli elettori: un obiettivo non semplice da raggiungere, dato che l’affluenza alle urne nelle ultime elezioni europee è stata inferiore. In caso di mancato raggiungimento, il referendum fallisce e la legge rimane in vigore. Oltre al referendum, però, le opposizioni stanno valutando altre strade, come il ricorso alla Corte costituzionale: alcuni governatori di centrosinistra, capitanati dal campano Vincenzo De Luca, fortemente contrari alla riforma, potrebbero presentare ricorsi per contestarne la legittimità e bloccare l’implementazione della legge anche prima di arrivare al referendum.