I nuovi italiani, ovvero coloro che ottengono la cittadinanza, sono soprattutto giovani. Lo dicono i dati, in vista del referendum di cittadinanza: il 48% di loro ha meno di 30 anni e la quota maggiore è rappresentata da ragazzi e ragazze fino a 20 anni (oltre 78mila delle cittadinanze concesse nel 2023, circa il 37% delle acquisizioni totali). Anche in vista del referendum dell’8 e 9 giugno, Fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) ha analizzato i numeri del bilancio demografico Istat dal 2002 al 2024 (questi ultimi ancora provvisori), e un dato (oltre all’età) salta subito all’occhio: negli ultimi tre anni si è registrato un aumento dell’acquisizione di cittadinanza italiana da parte di chi nel nostro Paese ha background migratorio.
Sono 217.117 nel 2024 e per il terzo anno consecutivo superano le 200mila unità. Guardare però solo al valore assoluto non rende giustizia alla complessità del fenomeno, che ha sfaccettature da analizzare nel dettaglio per comprendere davvero i motivi dietro i numeri e delineare i contorni di chi è diventato cittadino italiano a tutti gli effetti.
Il nuovo italiano è giovane
I dati del 2024 al momento sono ancora parziali, ma già quelli del 2023 mostrano come poco meno della metà dei nuovi italiani abbia ottenuto la cittadinanza tramite tre modalità diverse dall’acquisizione per residenza (inserite tutte da Istat nella voce “Altro”): come figli minori di genitori divenuti italiani, come neo-maggiorenni nati e residenti in Italia che diventano italiani e per il cosiddetto ius sanguinis, cioè per discendenza. La naturalizzazione – ovvero quel percorso che permette di fare domanda per la cittadinanza una volta trascorsi i 10 anni di residenza legale continuativa in Italia per gli extra Ue (che scende a 5 per i rifugiati e apolidi, e a 4 per i cittadini comunitari) riguarda invece il 40% dei nuovi italiani. Da questi si distingue ancora un 12% che ha acquisito la cittadinanza per matrimonio con italiani.
Il requisito di residenza quindi (quello interessato dal quesito referendario) riguarda una fetta consistente delle nuove acquisizioni ma non la totalità. L’aumento, come spiegano da Fondazione Ismu, può essere letto con uno sguardo più ampio: “Si tratta di numeri dovuti a diversi fattori, tra questi, ad esempio, il fatto che ora vediamo in parte il risultato di quel processo d’integrazione cominciato per una prima generazione di migranti almeno 10 anni fa – spiega la ricercatrice del settore Statistica di Fondazione Ismu, Giorgia Papavero – Negli anni inoltre è diminuita la quota di coloro che sono diventati italiani tramite il matrimonio: oggi ci sono più migrazioni familiari, con persone che hanno costituito o ricongiunto la famiglia qui in Italia, aumentando anche la quota di minori. Per alcuni di loro inoltre il percorso è stato più lungo di dieci anni, magari perché per un periodo sono tornati nel proprio Paese d’origine, e solo adesso sono riusciti a concludere il percorso”.