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giovedì, Dic 19

Referendum sul taglio dei parlamentari, tana libera tutti per la legislatura


Se si votasse dopo il via libera della Cassazione, tutto rimarrebbe come ora. E d’altronde chi mai farà campagna contro il taglio? Si apre una stagione turbolenta per il Conte Bis: forse l’ultima

(Foto: LaPresse/Guglielmo Mangiapane)

La “riforma” sul taglio dei parlamentari, approvata all’inizio di ottobre praticamente da tutti i gruppi parlamentari nell’ultimo dei due passaggi conformi alla Camera, era evidentemente la più efficace assicurazione alla tenuta del governo giallorosso. Stante l’impossibilità di altre strade per formare una maggioranza dopo l’alleanza M5s-Lega del Conte 1 e quella M5s-Pd del Conte Bis, la strada quasi obbligata di un’eventuale caduta dell’esecutivo sarebbero le elezioni anticipate, sfiorate alla fine dell’estate. Ma col rischio di vedersi drasticamente ridurre le poltrone a disposizione – questa era la considerazione di molti con la riforma in partenza il 12 gennaio – deputati e senatori ci avrebbero pensato due volte a mutilare il proprio mandato, magari con un voto di sfiducia in una qualche occasione.

Ora non è più così, quell’assicurazione è scaduta: sono state infatti raccolte le firme necessarie per chiedere un referendum su quella legge costituzionale. Tra i vari modi con i quali, entro tre mesi dall’approvazione, si può avviare la procedura se un provvedimento costituzionale non ha ottenuto una maggioranza di due terzi da ciascuna delle due camere c’è infatti anche la richiesta presentata da un quinto dei membri di una delle due camere (in alternativa occorrono le firme di 500mila elettori o la domanda di cinque consigli regionali). Per i senatori la soglia è appunto di 64 membri di palazzo Madama. La legge, in effetti, non aveva superato i due terzi dei voti nei passaggi precedenti all’ultimo di ottobre: al Senato, lo scorso 11 luglio, i sì furono per esempio solo 180.

Si sarebbe dunque arrivati a 65 sottoscrizioni con la firma del senatore a vita Carlo Rubbia. Gran parte dei firmatari appartiene a Forza Italia, che più di altre formazioni rischierebbe di essere spazzata via dalla riduzione dei seggi, ma anche senatori del Pd, del gruppo misto e del Movimento 5 stelle. C’è perfino il paradosso di tre senatori grillini che sostenevano la riforma e poi hanno firmato per bloccarla, ma questo rientra nell’avanspettacolo politico a cui siamo tristemente abituati.

La riforma propone di ridurre di un terzo i parlamentari delle due assemblee, passando dunque da 630 a 400 elementi nel primo caso e da 315 a 200 nel secondo. La critica fondamentale mossa al provvedimento-feticcio del Movimento 5 stelle, da cui partono anche i promotori della raccolta firme, è che in questo modo si riduce la rappresentanza degli elettori, si frammentano i gruppi parlamentari cucendoli su misura di leader e capi e che il taglio non abbia senso al di fuori di una riforma organica che preveda anche una nuova legge elettorale, possibilmente proporzionale. Anzi, che sia rischioso.

Sono due i punti che ruotano intorno a questo passaggio, che è probabilmente centrale per la sorte della legislatura. Il primo è il tana libera tutti: se si votasse nel periodo che trascorrerà fra il via libera della Corte di Cassazione, presumibilmente dopo la consegna delle firme a gennaio, e la consultazione (che dovrà essere fissata entro sei mesi), tutto sarebbe come prima. Quasi mille posti a disposizione nelle due camere: converrebbe a tutti, specie ai partiti più piccoli che rischierebbero di scomparire (vedi Italia Viva o Forza Italia), tornare alle urne prima di un voto popolare che avrà un esito evidentemente scontato. Il pressing di Salvini sui fuoriusciti del Movimento 5 stelle per indebolire la maggioranza già risicata, specialmente al Senato, si farà inoltre più intenso. Su Renzi, invece, ormai è impossibile azzeccarne una.

D’altronde, chi e come farà campagna elettorale per invitare gli elettori a salvare il 30% dei seggi, dopo anni di avvelenamento contro la classe politica e, dal canto suo, con una classe politica che poco e nulla ha fatto per risintonizzarsi sulle frequenze del paese? Qualsiasi sia la posizione, e anche chi è contrario ha delle ottime ragioni dalla sua, la campagna referendaria di primavera sarà comunque un’impresa ai limiti del paradossale.

Il secondo elemento riguarda il rapporto fra cittadini e classe politica che trova una sua controversa rappresentazione (democratica, s’intende) proprio in questi giorni di dibattito. Per quanto, appunto, le ragioni per chiedere un voto agli elettori non manchino – il governo si era per esempio impegnato a presentare un disegno di legge elettorale entro l’anno, e ancora non si è visto – lo spettacolo dei senatori che raccolgono le firme per indire un referendum sulla propria sorte fornisce plasticamente l’idea dell’autoconservazione. Ripeto: anche se ci sono delle buone ragioni.

Alcuni promotori hanno parlato di questa posizione come di una posizione “volgare”. Non so se sia tale ma allora viene da rispondere come mai non si sia tentata la strada della raccolta delle 500mila firme degli elettori nelle piazze e nelle strade, che – se già non fosse chiaro – avrebbe anche prodotto una prima analisi sul polso del paese rispetto a questo tema. Ma una raccolta firme di questa portata costa, sarebbe servita una mobilitazione massiccia e nessun partito se l’è evidentemente sentita di scendere in campo per invitare passanti e simpatizzanti a sottoscrivere un voto che in prospettiva punterebbe a salvare 345 seggi parlamentari. Figuriamoci se se la sentirà di fare campagna per un referendum del genere.

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