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lunedì, Set 16

Renzi è pronto a uscire dal Pd e fondare il suo partito


L’ex sindaco di Firenze dovrebbe annunciare la scissione alla Leopolda, in programma tra un mese, e ci sarebbero già una trentina di parlamentari pronti a seguirlo. Potrebbe chiamarsi “Italia del Sì”

Matteo Renzi (foto: ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images)

Quest’anno c’è una particolare attesa per la Leopolda, il convegno politico che fa da tradizionale ritrovo annuale della corrente dell’ex premier Matteo Renzi. Secondo diversi analisti, sarà proprio durante questo evento – in programma dal 18 al 20 settembre prossimo a Firenze – che Matteo Renzi annuncerà una nuova scissione all’interno del Partito democratico e la creazione di un suo nuovo partito.

Le voci su un nuovo soggetto politico guidato da Renzi si rincorrono oramai da mesi: il 1° dicembre del 2018 il senatore di Forza Italia Paolo Romani aveva detto al Fatto Quotidiano che bisognava lavorare a una “forza liberale come la nostra e, parallelamente, a una forza riformista”, lasciando intendere che l’ex sindaco di Firenze e alcuni esponenti di Forza Italia si fossero seduti al tavolo pensando alla nascita di un nuovo partito che guardasse ai delusi dell’una e dell’altra sponda. Renzi però, al tempo, aveva negato di aver mai avuto un incontro privato con Romani.

Questo weekend, tuttavia, sollecitato da una domanda su un suo possibile addio al Pd, è intervenuto di nuovo sul tema lasciando intendere che qualcosa, stavolta, si muove davvero. “Le chiacchiere stanno a zero”, ha detto in un’intervista al Corriere Fiorentino l’ex presidente del Consiglio. “Di politica nazionale parleremo alla Leopolda e sarò chiaro come mai in passato”.

Le indiscrezioni sul nuovo partito

Quella di Matteo Renzi sarebbe la settima scissione nella storia del Pd, fondato nel 2007, nonché la seconda nel giro di un anno. L’ultimo ad andarsene, in ordine di tempo, è stato Carlo Calenda, lo scorso agosto, in aperto disaccordo con la decisione del partito di allearsi col Movimento 5 stelle per formare un nuovo governo.

Questa volta, stando alle conte che girano sulle ricostruzioni dei notisti politici di questi giorni, potrebbero lasciare le fila del Pd 20 deputati e una decina di senatori: abbastanza per dar vita a un nuovo soggetto senza confluire nel gruppo Misto, come vorrebbero le regole in caso di fuoriuscite meno importanti. Secondo il Corriere della Sera, gli scissionisti sarebbero tuttavia un po’ meno: 16 deputati e 6 senatori, meno della metà di quelli che lasciarono il partito nel 2017 per fondare Articolo 21- Mdp insieme a Pier Luigi Bersani.

Tra i nuovi scissionisti, ci dovrebbero essere il ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova; il deputato Ettore Rosato, che nei giorni scorsi ha definito la scissione una “separazione consensuale”; il sottosegretario Ivan Scalfarotto secondo il quale si “possono fare cose bellissime insieme ma non è necessario abitare nella stessa casa”; l’ex candidato alle primarie del Pd Roberto Giachetti; Maria Elena Boschi; la sottosegretaria all’Istruzione Anna Ascani; il responsabile dei comitati Sempre avanti – che avevano raccolto il consenso per la candidatura di Giachetti a sindaco di Roma Luciano Nobili; il membro della commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi e il deputato Luigi Marattin. Seguirebbero Renzi anche alcuni amministratori locali come il sindaco di Firenze Dario Nardella ma non alcuni suoi fedelissimi come l’ex ministro dello Sport Luca Lotti, l’attuale ministro della Difesa Lorenzo Guerini e tutti i politici che fanno loro capo.

Alcuni renziani hanno spiegato che evitare una fuga in massa è importante per far sì che Andrea Marcucci mantenga il ruolo di capogruppo del Pd al Senato. Secondo quanto si legge in alcune ricostruzioni, però, la permanenza nel partito di alcuni esponenti vicini a Renzi è da attribuire al fatto che non tutti sono d’accordo con la scissione.

Sempre secondo le indiscrezioni circolate sui giornali, il nuovo partito potrebbe chiamarsi Italia del sì o Italia della crescita. La scelta sarebbe tra un richiamo al passato recente – il sì ricorda il referendum costituzionale del 2016 di cui Renzi si era fatto promotore – o uno sguardo al futuro, con la volontà di far ripartire la crescita economica nel paese. Per un periodo di tempo, gli scissionisti potrebbero però adottare il nome e il simbolo del Partito socialista di Riccardo Nencini per aggirare un problema che potrebbe impedire la nascita del partito. Un regolamento approvato di recente al Senato blocca infatti la formazione di nuovi gruppi che non sono associati a una lista che ha partecipato alle elezioni precedenti.

Se il nuovo partito riuscisse a formarsi, potrebbe partecipare alle prossime elezioni politiche e far breccia sui delusi, non solo del Partito democratico, ma anche del Movimento 5 stelle, +Europa e Forza Italia. Secondo un sondaggio, il partito si attesterebbe intorno al 5%, penalizzato dal basso gradimento personale di cui gode Renzi.

Cosa dicono i dirigenti del Pd

La maggior parte degli esponenti del Pd, esclusa la corrente renziana, è contraria alla scissione. Il segretario del partito Nicola Zingaretti ha detto che sarebbe “un errore gravissimo che il paese non capirebbe” mentre il ministro della Cultura Dario Franceschini, rivolgendosi direttamente a Renzi di cui è stato a lungo alleato, ha dichiarato “il Pd è la casa di tutti, tua e nostra”.

I dirigenti del partito considerano la scissione un segnale di debolezza e ne temono le ripercussioni politiche, soprattutto ora che il partito ha iniziato una nuova avventura di governo a fianco del Movimento 5 stelle. Per evitarla, avrebbero anche offerto la presidenza del partito a un esponente renziano come Maria Elena Boschi. Nei giorni scorsi, com’è noto, la deputata aveva attaccato i suoi colleghi per non aver scelto nessun esponente del Pd toscano nella formazione del nuovo governo: un modo come un altro per segnalare il mal di pancia interno alle fila del partito.

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