Inviando a qualcuno un video erotico pubblicato su Onlyfans si commette il reato di revenge porn. A stabilirlo è stata la Corte di Cassazione, secondo cui il consenso dato alla pubblicazione su una piattaforma a pagamento non autorizza automaticamente la diffusione del materiale fuori da quel contesto. Il diritto alla riservatezza e la tutela della propria immagine, spiega la sentenza, restano integri anche quando il contenuto è condiviso online seppur con finalità economiche.
La pronuncia conferma così la condanna di un giovane pavese che aveva inoltrato su WhatsApp un video sessualmente esplicito di una donna, estratto da una chat privata legata all’attività della ragazza su Onlyfans. La Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Milano, che aveva ritenuto tardiva la querela della vittima. Per i giudici il reato si consuma nel momento in cui il video esce dal cerchio ristretto dei destinatari autorizzati sulla piattaforma. In questo modo, la corte ha riconosciuto la piena validità della querela e la responsabilità penale dell’imputato, riaffermando che la libertà di condividere contenuti intimi non comporta la perdita del diritto a decidere chi può vederli.
La vicenda che ha portato alla sentenza
Il caso si verifica nel 2021, a Pavia. Una giovane donna, durante il lockdown, aveva aperto un profilo su Onlyfans, dove pubblicava video erotici riservati a un gruppo limitato di abbonati. Tra questi c’erano due amici con cui intratteneva un rapporto di fiducia. Uno dei due, però, aveva inviato via WhatsApp a un terzo uomo un filmato in cui la ragazza compariva in atteggiamenti sessualmente espliciti. Poche settimane dopo, la donna, venuta a conoscenza della diffusione del video, decide di presentare una querela per diffusione non autorizzata di materiale intimo.
Al primo grado di giudizio, il Tribunale di Pavia aveva condannato l’imputato a cinque mesi e dieci giorni di reclusione per diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, reato introdotto nel 2019 dall’articolo 612-ter del codice penale. La Corte d’Appello di Milano aveva però annullato la condanna, ritenendo che la denuncia fosse tardiva. Per i giudici di secondo grado, la pubblicazione su Onlyfans costituiva già un atto di diffusione e quindi il termine per la querela era decorso.
La Cassazione ha però smentito questa impostazione, stabilendo che la diffusione illecita non coincide con la semplice pubblicazione sulla piattaforma, ma con la trasmissione del contenuto a terzi non autorizzati. È in quel momento, spiegano i giudici, che il reato si consuma e che inizia a decorrere il termine di sei mesi per la querela.
Il consenso ha confini precisi
La sentenza segna un chiarimento decisivo sul concetto di consenso nel digitale. Il fatto che una persona condivida volontariamente un video con contenuto sessuale non significa che rinunci al controllo sulla sua diffusione. Il consenso espresso è sempre limitato al contesto in cui viene dato, nel caso specifico di Onlyfans, la visualizzazione da parte degli abbonati secondo le regole della piattaforma.



