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martedì, Gen 14

Richard Jewell, l’eroe che nessuno vuole essere e tutti perseguitano


Uno dei film più dolci di Clint Eastwood su un’ingiustizia che parte tutta dai corpi, chi ha quelli desiderabili e chi ha quello che nessuno vorrebbe

Ma com’è che tutti questi eroi che Clint Eastwood sta raccontando nei suoi ultimi film non sono mai piacevoli, non sono ideali e non sono nemmeno desiderabili? Com’è che il cecchino di American Sniper è una persona non interessante, senza carisma, mai accattivante (anche se lo interpreta Bradley Cooper!)? Com’è che il capitano di Sully sembra svuotato di ogni umanità e non è mai simpatico, mai empatico, mai vicino a qualcuno? Com’è che nemmeno i ragazzi di Ore 15:17 – Attacco al treno sono qualcuno a cui, per la durata del film, si aspira a somigliare o anche solo si desidera essere amici?

Richard Jewell forse è il meno desiderabile di tutti e il film che lo racconta forse è il più bello di tutti. È un individuo sovrappeso che vive con la mamma, frustrato con dolcezza, offuscato dal culto della divisa e delle forze dell’ordine, cacciato dal posto di vicesceriffo e poi anche dalla security di un campus universitario perché troppo stretto con le regole, troppo innamorato dell’esercizio del suo potere. Cerca rispetto a tutti i costi, varca la linea troppe volte e così, senza lavoro finisce a fare da staff volontario durante le Olimpiadi di Atlanta nel 1996. Sta sempre assieme ai poliziotti ma non è uno di loro, e gli agenti stessi un po’ lo deridono. Chi vorrebbe essere un personaggio simile? Ha lo sguardo spento e tende a sovrastimare tutto. Una notte sovrastima decisamente uno zaino abbandonato, segue il protocollo alla lettera, lo tratta come fosse un ordigno abbandonato, scatena il finimondo e, sorpresa, ha ragione. È davvero una bomba. La bomba esploderà ma grazie a lui ci saranno molte meno vittime di quel che poteva accadere, molti si saranno messi in salvo per la sua insistenza contro il parere di tutte le altre guardie.

È un eroe uno così? No, sta solo facendo il suo lavoro, dice il film. Come il cecchino americano o come il pilota di aerei di linea, fa semplicemente quel che è giusto fare in quel momento come gli è stato insegnato. E lo sa. È il primo a sapere di non aver fatto cose eccezionali ma che data la situazione unica in cui si è trovato le conseguenze delle sue azioni sono state eccezionali. Tutti lo trattano come il vero eroe fino a che l’FBI non avanza l’ipotesi che forse lui ha messo la bomba per poi diventare l’eroe, il profilo in effetti sembra coincidere, una giornalista lo scopre, lancia la notizia e si scatena la caccia all’uomo.

Dunque se c’è qualcuno con cui questo film dolcissimo e delicatissimo va duro, è proprio sono le autorità. Richard Jewell è un americano senza potere, la sua vita è tenera e tradizionale, a casa con mamma e poi a lavorare, senza amici e senza donne. Niente. Lo stato invece è Jon Hamm, alto bello, gran portamento, mascella quadrata, l’immagine del potere e dell’affidabilità. La giornalista è Olivia Wilde in abiti lascivi e atteggiamento sessualmente spregiudicato, capace di usare il corpo e andare a letto con una fonte per avere una notizia (che è un fatto non vero e la cosa sta causando non pochi problemi a Eastwood visto che, giustamente, la vera giornalista si è risentita). Già a vederli sono tutto quello che lui non è e vorrebbe essere, sono gli americani cui aspira, sono i vincenti e invece sono peggiori di lui. C’è insomma un gran lavoro di casting che oppone non solo personaggi ma corpi. Oppone i belli, i riusciti e i carismatici al loro opposto, Paul Walter Hauser, attore di commedia già visto (e dilagante) in I, Tonya, specializzato in scemi. Richard Jewell non è scemo, ma lo sembra proprio.

Al mio paese quando il governo dice che qualcuno è colpevole, allora puoi stare sicuro che è innocente” dirà a un certo punto la segretaria di origini russe dell’avvocato che aiuta Richard Jewell. Questa storia è fatta per ricalcare Davide contro Golia, per far vedere la tenacia di un americano come tanti, tutto torta di mele e junk food, armi da caccia in camera e sogno di essere sceriffo, messo sotto dalle stesse istituzioni che riveriva. È un film d’ingiustizia che grida rabbia e lo fa con la calma del cinema di Eastwood degli ultimi 10 anni, in cui in modi placidi passano i sentimenti più stordenti. Nella storia vera il film non legge tanto la parabola di un eroe (come detto fa solo il suo lavoro alla lettera) ma quella di una vittima di media e stato, la cui vita semplice è sballottata dall’essersi ritrovato eroe senza volerlo. È un film che si chiede con uno sconforto palpabile e alla fine quasi commovente: “Ma perché lo stato ci fa questo?

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