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giovedì, Giu 11

Ricordate la “grande sanatoria degli immigrati”? Finora l’hanno usata ben pochi immigrati



Da Wired.it :

Annunciata fra lacrime e allarmismi, la regolarizzazione è partita a rilento: troppi ostacoli e un’impostazione che lascia il coltello dalla parte del manico dei datori. L’ennesima occasione persa

Migranti raccolgono arance nella piana di Rosarno in Calabria, febbraio 2020 (foto: Alfonso Di Vincenzo/Kontrolab/Ipa)

Le lacrime andrebbero versate per come sta andando: parliamo della sanatoria della ministra Teresa Bellanova che a caldo un collega di governo, Peppe Provenzano, aveva definito “un onorevole compromesso”. Stando ai primi numeri, bisognerà cancellare anche quella definizione di “onorevole”. Perché la legge n.34/2020, la cosiddetta Sanatoria 2020 – che in realtà si rivolge anche ai lavoratori italiani – sta dimostrando cosa succede quando si sceglie di fotografare la realtà a proprio piacimento, con le lenti distorte della politica e ritagliandola con mille veti incrociati. Semplicemente, le leggi non funzionano. Anzi, rischiano di creare più danni di prima.

Fino a ieri le domande di regolarizzazione dei lavoratori stranieri presentate online sono state, spiega Il Sole 24 Ore, appena 13mila. Altre 6mila sarebbero in arrivo. Ben al di sotto delle aspettative, e di certo lontanissime dall’intossicazione di cui in molti parlavano il mese scorso (i “600mila immigrati clandestini” sbandierati per esempio da Giorgia Meloni) ma anche dalle stime fornite dallo stesso ministero delle Politiche agricole, intorno ai 220mila potenziali beneficiari. Nulla di tutto questo. C’è ancora un mese di tempo, è vero, e alla fine si potrebbe toccare una quota tutto considerato significativa. Ma la sensazione è che senza una serie di modifiche in corso d’opera l’operazione si trasformerà comunque nell’ennesima occasione persa.

Primo motivo del flop: le procedure per chi ha un rapporto in nero lasciano il coltello dalla parte del manico dei datori, spesso anche sfruttatori. Quelli che, per capirci, talvolta chiamano “scimmie” i lavoratori (come testimonia l’ultima di una lunga serie di inchieste, quella della procura di Castrovillari di cui si è avuto notizia proprio ieri).

Il problema sta sia nell’iniziativa in sé che nel pagamento dei 500 euro una tantum previsti per attivare la pratica. Molti resoconti, come questo di Repubblica, spiegano come, alla fine, perfino nei pochi casi emersi sono stati spesso gli stessi lavoratori a pagarselo pur di ottenere un permesso di soggiorno per la durata del contratto. E poi è difficile che un datore si autodenunci, pur godendo di uno scudo penale. Anche perché il grosso di chi impiega manovalanza straniera non può giustamente goderne, visto che quello scudo non vale per chi sia stato condannato negli ultimi cinque anni, anche con sentenza non definitiva, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione o di minori da impiegare in attività illecite e caporalato.

Quindi? Quindi bisognava dare l’iniziativa ai lavoratori: denunciate chi vi sfrutta, otterrete un permesso di soggiorno temporaneo e sarete accompagnati nella ricerca di un nuovo impiego nelle aziende in regola guidate da gente perbene. Il tutto con una campagna di informazione che evidentemente stenta a decollare, visto che in molti non sanno neanche dell’esistenza della sanatoria.

Secondo punto: i settori coinvolti sono troppo pochi. Mancano edilizia, logistica, ristorazione, altri ambiti che pescano a piene mani e nella totale impunità il lavoro nero degli stranieri. Tanto che alcuni saranno costretti a tornare nei campi nella speranza di poter accedere alla procedura o proveranno a “comprarsi” un contratto da bracciante pur di strappare il permesso. Tutto questo quando, magari, nel corso del tempo erano riusciti a emanciparsi, integrarsi e a trovare qualcosa di meglio o di più affine alle proprie qualità. Agricoltura, assistenza alla persona e lavoro domestico dunque non bastano, limitano la portata del provvedimento e di questo bisognerebbe prenderne atto, senza polemiche.

Il terzo problema è sfaccettato. Riguarda anzitutto gli stranieri con permesso di soggiorno scaduto che vogliano mettersi alla ricerca di un lavoro. Perché il vecchio permesso dev’essere scaduto prima del 31 ottobre scorso? E come fanno a dimostrare di aver lavorato nei pochi settori coinvolti dalla sanatoria? Non tutti dispongono di estratti conto previdenziali, cedolini o certificazioni dei Centri per l’impiego. Ancora: non si sono tenute in considerazione, assegnando un permesso di soggiorno, situazioni piuttosto intricate come quelle di chi lavora in regola ma in virtù del proprio status di richiedente asilo. Infine: perché imporre dei limiti minimi di reddito imponibile per i lavoratori che intendono regolarizzare? Spesso, nel caso delll’assistenza domestica, le famiglie non toccano quelle soglie (20mila euro) ma magari avrebbero intenzione di regolarizzare un o una badante o colf che lavora con loro poche ore a settimana.

Macroscopiche questioni di logica e sostanza, le prime, lacune tecniche, le seconde. Entrambi aspetti che una legge del genere non doveva lasciare appesi e che danno l’idea dell’approssimazione con cui è stata scritta. E dell’eccessiva drammatizzazione con cui è stata presentata.

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[Fonte Wired.it]