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giovedì, Feb 25

Rider, perché la battaglia per il contratto non fa passi in avanti



Da Wired.it :

Dall’inchiesta della Procura di Milano emergono ancora una volta i problemi legati alle condizioni di lavoro dei fattorini delle app di food delivery, che non trovano soluzione

Un rider di Deliveroo (foto di Dinendra Haria/Sopa Images/LightRocket via Getty Images)
Un rider di Deliveroo (foto di Dinendra Haria/Sopa Images/LightRocket via Getty Images)

Poco più di un anno fa la Cassazione metteva fine al caso Foodora. La Suprema corte riconosceva a cinque ex rider della app di food delivery ormai chiusa in Italia e passata sotto Foodinho, la società dietro gli affari di Glovo nel Belpaese, che i fattorini non vanno inquadrati come lavoratori autonomi, ma come dipendenti, anche se sono dei collaboratori. Un anno dopo le stesse conclusioni sono messe nero su bianco dalla Procura di Milano a termine di un’inchiesta che contesta a Uber Eats, Just Eat, Deliveroo e Glovo (controllata in Italia da Foodinho) 733 milioni di sanzioni per la salute e sicurezza dei pony express.

Nel mirino ci sono di nuovo l’algoritmo e il ranking. Per la Procura è la combinazione tra la valutazione delle prestazioni di un fattorino e il punteggio automaticamente assegnato, che a sua volta determina la possibilità di candidarsi per le consegne, a smontare l’inquadramento dei rider delle app di food delivery come lavoratori autonomi. “È emerso in maniera inequivocabile che il rider non è affatto un lavoratore occasionale”, puntualizza il procuratore capo, Francesco Greco: “La asserita autonomia dei rider si riduce in realtà a una scelta delle fasce orarie in cui svolgere la propria attività”, ed è “condizionata in maniera più o meno ampia in base al punteggio (il cd. ranking), attribuito automaticamente dal sistema informatico e collegato alle performance (puntualità, rapidità, accettazione degli ordini)“.
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A dodici mesi di distanza sembra che la partita del contratto dei rider non abbia fatto grandi passi in avanti. Il negoziato al ministero del Lavoro con le piattaforme si è arenato per l’ennesima volta, al netto delle promesse degli ex ministri Luigi Di Maio e Nunzia Catalfo. L’inquadramento siglato dall’associazione di categoria delle app, Assodelivery con il sindacato di destra Ugl ha scontentato governo e sindacati. Le uniche pedine che si sono mosse sono quelle di Just Eat (pure coinvolta nell’inchiesta della Procura di Milano) e Mymenu (che ne è estranea).

Il ruolo dei fattorini

Tuttavia le condizioni che emergono dall’inchiesta della Procura di Milano sono ancora problematiche. Per Greco, “questo sistema costringe di fatto il rider ad accettare tutti gli ordini (un rifiuto comporta il declassamento) e a portarlo a termine il più velocemente possibile” e, di fatto, “determina la continuità del rapporto“. Dopo un’inchiesta durata un anno e mezzo, partita a luglio 2019 dopo alcuni incidenti che hanno coinvolto i rider, interviste a più di mille di loro in tutta Italia e l’esame delle posizioni di oltre 60mila, impiegati dal 2017 al 31 ottobre 2020 da Deliveroo, Just Eat, Foodinho, che controlla Glovo, Uber Eats, già al centro di un’indagine per caporalato, la Procura è giunta alla conclusione che il fattorino “è a pieno titolo inserito nell’organizzazione d’impresa” e che “non lavorare in alcuni giorni e in alcune fasce orarie porta normalmente a una retrocessione e quindi a sempre minori opportunità di lavoro“. Motivo per cui, riferisce Greco, “è impossibile usufruire di ferie o periodi di malattia“, “anche in caso di infortunio” e anche ricorrendo “all’espediente di cedere temporaneamente l’account“.

L’inchiesta, di cui sono titolari il pubblico ministero Maura Ripamonti e l’aggiunto Tiziana Siciliano, ha coinvolto il Nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri, guidato dal comandante Antonino Bolognani, evidenzia pertanto che, siccome i fattorini “rappresentano l’anello fondamentale, senza il quale tali imprese – semplicemente – non potrebbero funzionare“, a questi ultimi vanno applicate tutte le regole del testo unico su salute e sicurezza sul lavoro. E, punto ancora più importante, va effettuata “una riqualificazione contrattuale“: non autonomi ma collaboratori coordinati e continuativi. Il cottimo, previsto di fatto dal contratto siglato dal, va vietato.

La Procura, che ha aperto anche un’inchiesta fiscale a carico di Uber Eats, ha notificato alle aziende i verbali amministrativi per il recupero di contributi e premi assicurativi dei 60mila rider e per adempiere agli obblighi in materia di sicurezza del lavoro entro 90 giorni. A carico delle app sono state elevate ammende per 733 milioni di euro.

Per la rete nazionale dei fattorini, Rider x i diritti, che si riunisce oggi in un’assemblea, “si tratta di un colpo pesantissimo alla narrazione delle piattaforme, al loro modello di business“. La Cgil di Milano rilancia un accordo a livello nazionale e un inquadramento legato al contratto della logistica. Per Marco Lombardo, assessore al Lavoro del Comune di Bologna, quanto emerso conferma la direzione intrapresa nel 2018 dal capoluogo emiliano con la firma della carta sui lavoratori digitali. Dal canto suo Just Eat afferma di aver “avviato approfondimenti interni” e che “il nuovo modello di business, già avviato, contribuirà a introdurre un sistema più sicuro, controllato e diretto con i nostri lavoratori, in quando dipendenti“.

Battaglia internazionale

Per Antonio Aloisi e Valerio De Stefano, che insegnano diritto del lavoro rispettivamente all’università Ie di Madrid e all’università di Lovanio e sono autori de Il tuo capo è un algoritmo, sulla trasformazione digitale del lavoro e della gig economy, “in linea con la sentenza della Cassazione del 2020 e coerentemente con la modifica legislativa al Jobs Act del 2019, si sostiene che le tutele del diritto del lavoro siano da estendere a quei lavoratori autonomi la cui prestazione è organizzata dal committente, anche mediante piattaforme digitali“. Per i due si tratta di “una conferma che arriva sulla scia di provvedimenti analoghi in Francia, Spagna, Olanda e da ultimo Gran Bretagna. Si segnala anche in questo caso la caduta del mito della presunta autonomia dei fattorini. In più, ci sembra che siamo a un punto di svolta. Non si tratta di interpretare le norme, ma di applicarle. Va quindi sottolineato questo passaggio dal contenzioso all’applicazione. Molte piattaforme, specie nel settore della logistica, avranno modo di realizzare che il loro modello di business non è compatibile con un’organizzazione fatta di soli fornitori asseritamente autonomi“. Per Aloisi e De Stefano “dal basso, i consumatori si aspettano un servizio di qualità uniforme, che quindi implica un’ingerenza significativa. Dall’alto, corti e istituzioni in tutta Europa non sembrano più inclini a tollerare uno stato di eccezione che si protrae da troppo tempo, a scapito dei concorrenti, dei lavoratori e – in generale – della società tutta“.

Nello stesso giorno in cui la Procura di Milano ha reso noti i risultati dell’indagine, in Commissione europea la vicepresidente Margrethe Vestager e il commissario per il Lavoro, Nicolas Schmit, hanno lanciato una consultazione di sei settimane per capire se l’Unione debba emanare regole ad hoc sul lavoro via piattaforma. Nel vecchio continente 24 milioni di persone dichiarano di aver lavorato almeno una volta nella vita via app. Una settimana fa anche la Corte suprema del Regno Unito ha riconosciuto agli autisti di Uber il trattamento da lavoratori para subordinati, mentre a gennaio una sentenza del Tribunale di Bologna ha condannato come discriminatorio Frank, un sistema di prenotazione di Deliveroo (ora non più in uso). “Nel frattempo – osservano De Stefano e Aloisi – si segnalano anche tentativi di riscrivere le norme ad opera delle piattaforme, in linea con l’iniziativa californiana di Prop22“, che ha riconosciuto lo status di autonomi per i lavoratori delle piattaforme. La partita è aperta.

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[Fonte Wired.it]