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sabato, Mag 09

Riecco Michel Houellebecq, lo scrittore “cattivo” che ci aveva visto giusto



Da Wired.it :

Tra post-umano, solitudine, intolleranza radicale e perversione sessuale. Se Michel Houellebecq considera il coronavirus un virus “senza qualità”, molti dei suoi libri descrivono i suoi effetti sulle nostre vite entrate in fase 2

(foto: Getty Images)

In un momento di forte debolezza sociale dovuto alla pandemia, dove alla misantropia spesso si alterna la cattiveria incrementata dal lockdown – pensiamo ancora ai delatori da balcone o ad alcuni di quelli che denunciano la troppa gente in giro a Milano per la fase 2 – poteva mancare l’intervento pubblico sul virus da parte di uno dei più malvagi scrittori al mondo? Ecco così che Michel Houellebecq, il provocatore per eccellenza, è apparso su molti giornali anche italiani, parlando degli effetti del coronavirus sulle nostre vite e su quanto accadrà in futuro – suscitando ovviamente le classiche polemiche.

Saremo uguali, ma più cattivi dopo questo momento storico, ha detto pressappoco lo scrittore francese, evidenziando come il nostro distanziamento sociale non sia altro con l’inverarsi di un processo recenti dovuto all’uso dei social media e le nuove tecnologiche che non favoriscono il contatto umano, rendendolo superfluo già prima della pandemia. Lo scrittore ha notato poi che il coronavirus sia in fondo un virus “senza qualità”, indefinibile, poco attraente (non si diffonde per trasmissione sessuale, dice lui), un virus letale cioè ma in fondo mediocre, che non ispirerà poi tanto gli scrittori, come è stato invece per la famosa Peste. 

A parte le sue esternazioni, i suoi libri non hanno forse anticipato molte caratteristiche ed effetti di questa pandemia, vissuti anche nella fase 2?

Il suo primo romanzo, Estensione del dominio della lotta, sebbene non paia presentare dimensioni catastrofiste, è tutto innervato nel male di vivere di un uomo piccolo e nevrotico che si muove nella Parigi pre-internet dei servizi informatici.

Ed è un uomo nichilista il protagonista del libro, che ha dichiarati problemi verso le relazioni amorose, sessuali e sociali, e che non vive affatto con eroismo la propria esistenza mediocre di impiegato. “Di solito, nei weekend non vedo nessuno. Resto a casa, faccio un po’ di pulizie; mi deprimo con moderazione”, si legge in uno dei capitoli. E allora qual è la lotta del titolo? Quella che ti impone il vivere in una società dei consumi, neo-capitalista, che alla massima fedeltà prevede il minimo di sensazione, un depauperamento di oggi affettività – almeno che per essa non si intenda “insofferenza verso te stesso” – nella lotta di tutti contro tutti. Ecco così che quando la sua azienda vince un importante appalto per il ministero dell’Agricoltura e lui è incaricato di andare a vendere un programma in giro per la Francia, non reagisce molto felicemente alla nuova opportunità. Ed anzi l’unica cosa che ottiene da quel viaggio è il suicidio del collega Tisserand, “uomo bruttissimo” ed estremamente perverso, che tratta le donne in modo bestiale. La mediocrità e l’efferatezza vanno di pari passo. “Si sguazza sempre in una caligine sanguinolenta, ma un po’ si riesce a raccapezzarsi. Il caos è rinviato di qualche metro. Misero successo, in verità”, ha scritto lo stesso autore come ad esergo di questo romanzo che pare una confessione e assieme un sommesso grido anti-capitalista. 

Il successo dell’autore verrà poi con un libro che pare distanziarsi per stile rispetto al primo romanzo, ma che in realtà ne condivide il disperato nichilismo di fondo: il celebre Le particelle elementari. Rispetto a Estensione, il romanzo pare esordire in forma distopica – a volte Houellebecq è annoverato tra gli esponenti del transumanesimo, ma non sappiamo quanto questo possa essere corretto – con un uomo, un biologo di successo, Michel Djerzinski, che dichiara di aver trovato un antidoto genetico all’infelicità umana. All’apparenza potrebbe essere il libro ideale in un periodo in cui affidiamo la nostra felicità al responso dei virologi e dei comitati scientifici, no?

Ma “questo libro è innanzitutto la storia di un uomo, di un uomo che passò la maggior parte della propria vita in Europa occidentale nella seconda metà del Ventesimo Secolo. Perlopiù solo, egli intrattenne tuttavia rapporti saltuari con gli altri uomini. Visse in un’epoca infelice e travagliata”: così si legge dall’incipit e capiamo che non ci troveremo di fronte ad un romanzo d’anticipazione, sebbene la narrazione fredda, scientifica, quasi da riflessione epistemologica, verrà alternata a quella romanzesca molto cruda all’interno del libro. 

Michel infatti lascerà il suo lavoro di successo, insoddisfatto persino dalle proprie intuizioni, pur essendo vicino al Nobel. E il romanzo attaccherà per flashback a raccontarne l’infanzia, condivisa con il fratellastro Bruno, uomo di lettere a differenza di Michel, e altro personaggio cardine de Le particelle. La loro vita, segnata dal prematuro abbandono della madre e dall’assenza paterna, si sviluppa in parallelo come due alter ego di fronte a una società sempre più edonista e plastificata, arrivando alle esperienze sentimentali e sessuali dell’adolescenza – pressoché isolate, perverse e votate alla masturbazione quelle di Bruno, più felici e sociali quelle dell’indifferente radicale Michel. 

Fino ad arrivare alla loro maturità nel passaggio al XXI secolo, che verrà segnata da fallimenti e malattia per entrambi, in particolare le dolorose malattie delle loro donne Christiane e Annabelle, dalle quali si allontanano in modo cinico e a tratti mostruoso. Donne che paiono le uniche intente a venerare il prossimo, “esseri umani che lavorano per tutta la vita, e lavorano duro, solo per abnegazione e per amore; che per spirito di abnegazione e di amore danno letteralmente la propria vita al prossimo”, si legge. Non è difficile capire come l’accusa di misoginia sia apparsa spesso nei confronti di Houellebecq. 

Il lettore capisce ben presto che all’autore interessa meno l’anticipazione di un futuro immortale e di felicità legato alla meccanica delle particelle e alla fisica quantistica (abbondantemente citata per comprendere anche la libertà umana in modo metafisico), quanto l’affresco di una infelicità disperata e un po’ misogina, che a quella meccanica pare sottostare indefessamente mediocre, rappresentata dai due fratellastri, distanti ma anche due facce della stessa moneta.

Un meccanismo del doppelganger che sconfessa ogni ottimismo scientista che ritroviamo anche ne La possibilità di un’isola, dove a un futuro neo-umano asettico (dove l’umanità è quasi completamente priva di ogni sentimento) rappresentato dai personaggi clone di Daniel24 e 25, si contrappone la memoria di un’umanità degradata rappresentata dalla voce unica del comico Daniel1 – il suo cinismo nella vita professionale, i suoi insuccessi nella vita di coppia – del quale i primi appaiono una versione futura geneticamente migliorata, ma solo fino ad un colpo di scena finale, che pare accettare l’universale ferinità umana come ultima spiaggia possibile. 

Quest’anno pare che l’estate ci sarà almeno in parte preclusa, e con essa l’esperienza gratificante del viaggio. Visto l’interesse dell’autore per l’edonismo contemporaneo in forma perversa, non poteva mancare la tematica turistica, in modo ovviamente estremo, assieme alle tematiche della misantropia e dell’integralismo.

Piattaforma è il celebre romanzo-shock di Houellebecq che gira attorno al turismo sessuale, e che si apre con il protagonista Michel che viaggia appunto in Thailandia per procacciarsi piacere con le prostitute locali. Ma attraverso questa esperienza di degrado, conoscerà una parziale rinascita nella bella Valérie, che a differenza sua pare una donna interessata a provocare un intenso piacere nel prossimo – un’esperienza a tratti religiosa – in scene di erotismo molto forti e dettagliate, in cui il protagonista dichiara di “accedere a un livello di coscienza completamente diverso, e dal quale ogni male” pareva “abolito”.

Ma Valérie lavora anche nel turismo, per l’impresa Nouvelles Frontières e assieme al nuovo amante svilupperà dei programmi di resort focalizzati proprio sul sesso in forma di consumo organizzato. Le cose paiono andare bene, ma è l’ombra dell’integralismo islamico che offusca lo sviluppo dei resort – e che nel romanzo viene frequentemente attaccato per un monoteismo radicale e becero, descritto come ideologia pederasta. Ed è proprio un attentato islamico in uno di essi che Valérie perderà la vita, lasciando di nuovo solo Michel, alla sua umanità perversa.

Passando per La carta e il territorio – dove Houellebecq si fa personaggio esso stesso e non solo (morirà per un efferato delitto) – e senza trascurare anche la sua produzione poetica e pamphlettistica, arriviamo ai due recenti, Sottomissione e Serotonina. Il primo pare sviluppare in forma distopica una delle tematiche già presenti in Piattaforma, ovvero l’integralismo religioso di matrice islamica, il secondo pare sorprendentemente ritornare ai suoi esordi.

In Sottomissione, l’autore si rivolge di nuovo e più direttamente alla propria Francia – mai abbandonata, alla fine, nelle sue narrazioni – attraverso lo sguardo sui generis del professore della Sorbona, e esperto di Huysmans, François. Il paese, dopo le elezioni del 2022 è, grazie all’asservimento della politica socialista, in mano alla Fratellanza musulmana. Un partito all’apparenza moderato, che ha imposto la Sharia islamica a tutta la Francia – in precedenza sconvolta dagli scontri tra nazionalisti lepeniani e jihadisti. E che ha il sogno ambizioso di spostare il baricentro europeo verso i paesi musulmani convertendo tutto l’Occidente.

François non è l’unico intellettuale, sebbene lui si definisca un “politicizzato quanto un asciugamani”, che si è convertito (lui pare per godere della accettata poligamia del nuovo corso islamico di fronte alle proprie studentesse) ma anche i suoi colleghi, di varie posture politiche, si adeguano chi in modo più integralista chi in modo viscido all’Islam, per il bisogno di sottomissione e in qualche modo riparo rispetto al relativismo occidentale: “È la sottomissione, l’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta”. Il romanzo usa il fuoco dell’integralismo per fare in realtà un affresco spietato degli intellettuali francesi e delle loro contraddizioni, specialmente del suo mondo accademico, tra perversione sessuale e clientelismo, ma anche dei paradossi della sinistra, da un punto di vista anarchico, che molti hanno definito anche neo-conservatore. 

Come detto Serotonina, pare invece rispolverare un certo tipo di approccio presente già in Estensione del dominio della lotta. Ed è un manifesto dell’infelicità contemporanea, grazie allo sguardo sul mondo di Florent-Claude Labrouste, uno dei tanti personaggi houellebecchiani cinici, nichilisti, perversi. Il quale però fa come da cavia per un farmaco miracoloso, il Captorix, capace di indurre il corpo a produrre serotonina, l’ormone della felicità. Effetto collaterale? La mancanza di libido dovuta alla mancata produzione di testosterone.

Questa condizione compromessa darà però al protagonista la possibilità di raccontare le proprie esperienze amorose, con una certa nostalgia. In una carrellata di rapporti e donne, qui l’autore pare dare di nuovo forma alla sua teoria dell’amore come unica via d’accesso ad una sorte di fragile e personalissima felicità, al di là di religioni, politiche, identità nazionali e costruzioni familiari: “Non credo di sbagliare paragonando il sonno all’amore; non credo di ingannarmi paragonando l’amore a una sorta di sogno a due, certo con brevi momenti di sogno individuale, piccoli giochi di congiunzioni e incroci, ma che comunque permette di trasformare la nostra esistenza terrena in un momento sopportabile – ed è anche, a dire il vero, l’unico modo per riuscirci”, si legge nel romanzo. 

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[Fonte Wired.it]