Il Partito democratico (Pd) ha presentato un emendamento alla manovra di bilancio per una riforma del Garante della privacy con l’obiettivo di sottrarlo all’influenza politica. La proposta firmata dai senatori Dario Parrini e Antonio Nicita prevede di cambiare le regole con cui il Parlamento elegge i quattro membri dell’Autorità e di far decadere immediatamente l’attuale collegio, costringendolo a nuove elezioni entro trenta giorni.
L’iniziativa arriva nel momento più critico per l’istituzione: giovedì 20 novembre, infatti, si è dimesso il segretario generale Angelo Fanizza in seguito ad uno scandalo innescato dalla trasmissione Report sui presunti conflitti di interesse all’interno del board dell’Autorità è che si è concluso, grottescamente, col Garante stesso colto a violare i dati dei suoi stessi dipendenti al fine scovare la talpa che aveva fatto trapelare quelle informazioni ai giornali. Una violazione sconcertante visto che arriva dal segretario dell’autorità stessa che dovrebbe occuparsi di tutelare la privacy dei cittadini. Come Wired ha raccontato, un’assemblea dei lavoratori dell’ente ha messo sulla graticola i vertici.
Un’autorità nata per essere indipendente
Il Garante per la protezione dei dati personali è l’autorità che vigila sul rispetto delle regole sulla privacy in Italia. Ogni volta che un’azienda raccoglie dati degli utenti, che una pubblica amministrazione tratta informazioni sensibili dei cittadini o che qualcuno viola le norme sulla protezione dei dati personali, il Garante può intervenire con sanzioni, ispezioni e provvedimenti. Per svolgere questo ruolo deve essere indipendente sia dal governo che dalle forze politiche, dato che spesso è chiamato a decidere su questioni che coinvolgono direttamente il potere. Il problema è che il sistema con cui vengono scelti i suoi quattro membri non garantisce affatto questa indipendenza.
Attualmente, il Parlamento elegge i quattro membri del Garante, due alla Camera e due al Senato, tramite il cosiddetto voto limitato. Questo significa che, anche se i posti da coprire sono due, ogni parlamentare può esprimere un solo voto per un candidato. L’idea alla base di questo sistema è evitare che una singola parte politica possa eleggere da sola tutti i membri: votando uno alla volta, maggioranza e opposizione – in teoria – dovrebbero trovare un accordo per far eleggere i candidati, perché nessuna delle due da sola ha voti sufficienti per occupare tutti i posti disponibili. Il problema è che nella realtà basta avere poco più di un terzo dei voti per conquistare un seggio, quindi la maggioranza di turno può eleggere entrambi i suoi candidati senza bisogno di un accordo ampio. Nel 2020, quando furono eletti gli attuali membri, nessuno di loro superò il 40% dei consensi: Pasquale Stanzione ottenne 121 voti su 315 senatori (il 38%), Agostino Ghiglia 123 voti (il 39%), mentre alla Camera Guido Scorza arrivò a 237 voti su 630 deputati (il 38%) e Ginevra Cerrina Feroni a 209 (il 33%).
L’emendamento del Pd per la riforma del Garante della privacy vorrebbe cambiare completamente questo sistema. La proposta dice che per essere eletti membri del Garante servirebbe “la maggioranza dei due terzi” di ciascuna camera. Questo significa che al Senato servirebbero almeno 210 voti su 315 senatori, alla Camera almeno 420 voti su 630 deputati. Con queste soglie è matematicamente impossibile per una sola maggioranza eleggere i suoi candidati: risulterebbe perciò necessario un accordo tra centrodestra e centrosinistra. Il secondo comma dell’emendamento prevede poi una norma transitoria immediata: appena la legge di bilancio entra in vigore, gli attuali quattro membri del collegio decadono automaticamente e si deve procedere a nuove elezioni con le nuove regole entro trenta giorni. In pratica l’emendamento azzera il Garante e lo costringe a ripartire da capo.
Perché proprio adesso e come funziona
I democratici vorrebbero sfruttare il momento di massima attenzione mediatica sul Garante per proporre una riforma che chiedono da anni. “Alla luce degli ultimi eventi che hanno coinvolto il Garante della privacy, ci auguriamo, per il bene e la tutela delle nostre istituzioni, che il governo accolga il nostro emendamento e che la maggioranza lo voti”, hanno scritto Parrini e Nicita. Il Pd ha scelto di presentare l’emendamento proprio ora perché in Italia la legge di bilancio è diventata negli anni un contenitore dove si possono inserire norme su quasi tutto, non solo misure economiche. È uno dei pochi provvedimenti che il Parlamento deve approvare per forza entro fine anno, quindi diventa l’occasione per far passare riforme che altrimenti rimarrebbero bloccate. In questo caso l’emendamento non ha alcun costo per lo Stato dato che si limita a cambiare le regole di nomina, quindi non serve nemmeno trovare coperture finanziarie.



