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sabato, Ott 31

Rileggere l’autentico terrore americano di Poe per Halloween



Da Wired.it :

Capostipite dei poeti maledetti, ma anche narratore di avventure ai confini della realtà e ispiratore del ciclo di Sherlock Holmes. Edgar Allan Poe racconta una logica del terrore che viene dall’America, come Halloween

Oggi 31 ottobre, nonostante il mondo inquieto, molti si preparano – magari in casa, magari davanti a Zoom o clandestinamente con qualche amico – a festeggiare Halloween, la festa americana di importazione che negli anni ha conquistato grandi e bambini, e non solo i supermercati e negozi di giocattoli. Halloween o la notte di festa o sabba dei mostri e delle streghe, dei vampiri e degli zombie, dei licantropi e delle zucche di Jack O’ Lantern, possiede certo un immaginario horror pop e massificato, nonostante le radici più nobili nello spirito gotico e del terrore di tradizione americana.

Tra i maestri del terrore, pensando all’America di Halloween, non possiamo non annoverare Edgar Allan Poe. Un autore letto e riletto, ma che bisognerebbe rileggere anche oggi. Con lui proviamo a raccontarvi un Halloween diverso. Feticcio di autori di tutto il mondo, considerato forse a torto il padre di ogni poeta e scrittore maudit per via anche della leggenda tutta da verificare che fosse un oppiomane (mentre in realtà sappiamo che soffrisse solo di alcolismo), Edgar Allan Poe è un caso unico della letteratura moderna, perché nonostante un’esistenza costellata da lutti e da povertà, molte delle sue opere hanno dato il via a dei veri e propri filoni della letteratura.

In lui, narratore, filosofo, poeta, scienziato amateur, troviamo infatti non solo i modelli universali del racconto del terrore – un terrore spesso psicologico, mai soprannaturale, dovuto a una clausura che genera follia (da non confondere coi moderni lockdown, sia mai) – di cui era un maestro inimitabile. Ma troviamo anche la detective story holmesiana, con i casi di Auguste Dupin del famoso I delitti delle Rue Morgue che precedono quelli del detective di Conan Doyle. 

Le sue poesie, poi, come la celeberrima Il corvo, hanno avuto un impatto enorme su Charles Baudelaire, Paul Verlaine e persino il nostro Giovanni Pascoli. Ricordiamo poi la grande passione di Julio Cortazar, Jorge Luis Borges, Giorgio Manganelli, tra gli altri, per l’autore. 

Per un percorso di letture parziale, e per capire la radice americana di Poe, si potrebbe iniziare da quell’unico romanzo pubblicato in vita, Le avventure di Gordon Pym che tanto influenza anche l’altro maestro del terrore H. P. Lovecraft. Per molti critici, il romanzo ha inaugurato il filone dell’horror psicologico

Il libro, che ha affinità con i romanzi d’avventura di Melville (anche qui anticipando un libro come Benito Cereno), racconta dell’esperienza vertiginosa del marinaio Arthur Pym verso un gorgo di disavventure terribili e allucinanti, che fanno del libro un perfetto meccanismo di studio dei limiti della mente e dell’attrazione per la follia: una “scalata incessante verso l’infinito” ha detto Baudelaire della logica poeiana, ferrea quanto espressivamente da incubo da risolvere. 

Pym si è imbarcato clandestinamente nella baleniere Grumpus, ma presto incorre in disavventure quali l’ammutinamento feroce dell’equipaggio, la fuga che diventa naufragio, l’incontro con temibili indigeni efferati, episodi di cannibalismo nei confronti di alcuni suoi compagni di sventura, e infine la stessa follia che si manifesta nelle ultime pagine come una coltre di fuliggine bianchissima.  

Il tutto si presenta come un ambiguo resoconto vero dove Arthur Pym pare essere all’inizio sopravvissuto, ma chissà se non sia in realtà rimasto intrappolati nei suoi sogni e incubi come in una sorta di coma profondo, quella visione finale dei naufraghi: “una figura umana velata, di proporzioni ben più vaste di qualsiasi essere umano. E il colore della pelle della figura era del bianco assoluto della neve”, così si conclude enigmaticamente il romanzo di Poe. 

Poe quindi come maestro dell’incubo, o meglio della sua logica che spazza la sanità mentale. Abbiamo già detto: non un orrore soprannaturale, quanto si potrebbe dire sovrumano, che la ragione umana insegue cercando una via d’uscita, e in cui vi si perde. In questo non possiamo non ricordare di alcuni dei suoi racconti, più volte raccolti, impacchettati, e spacchettati dagli editori (in edizioni spesso dalla dubbia curatela) alcuni davvero in sé dei capolavori.

Forse uno dei più belli e celebri è Il gatto nero, vuoi per il titolo che richiama a tutto un immaginario di streghe e malefici – immaginario tuttavia assente nel racconto – vuoi perché ha avuto una certa fortuna, come altre cose di Poe, in adattamenti cinematografici non sempre riusciti (anche Romero e Argento ci hanno provato).

Il racconto, come nel caso del Gordon Pym, ci fa entrare in un vortice di ossessione di un uomo che sappiamo essere un efferato omicida condannato al patibolo: l’ossessione per un gatto nero di sua proprietà, Pluto, più volte seviziato, persino impiccato, ma che ritorna in varie versioni e epifanie maligne nella sua vita, fino a troneggiare sulla testa della moglie assassinata sotto suo influsso e con furia dell’epilogo. 

La confessione è quasi a giustificazione di un omicidio che ha compiuto per via di un proprio alter ergo: il gatto, una sorta di specchio che il protagonista usa per distorcere la realtà. Il lettore infatti ben presto capisce che il racconto è allegoria perfetta del senso di rimorso da un lato e di quella diabolica “successione di cause ed effetti naturalissimi” di cui parla l’autore, e che contribuisce al crollo familiare e all’uxoricidio. Non trovate che sia di grande attualità in tempi bui di femminicidio

Di follia e di luoghi dell’incubo parla anche un altro capolavoro di quella logica dell’orrore di Poe, che qui si fa anche logica spaziale lo spazio di tortura de Il pozzo e il pendolo. Il gioco mentale qui è quello subito da un torturato dall’Inquisizione spagnola, ma poco interessa il dato storico. 

Spazi, percezioni, pensieri, ragionare ossessivo mentale che porta alla pazzia: tutto rientra nel diabolico di questo spazio di tortura immerso nell’oscurità. Il protagonista studia lo spazio al millimetro con il proprio corpo e prima riconosce al centro della stanza la presenza di un pozzo nel quale cadrebbe e poi successivamente viene mezzo sotto il giogo di un pendolo-lama dal quale sfuggirà con astuzia. Si salverà, ma al lettore rimarrà impresso questo gioco incredibile anche dal punto di vista stilistico. 

Uno dei racconti immancabili e tra i più studiati sia da Freud che anche dagli psicanalisti successivi come Lacan o da filosofi come Derrida è anche La lettera rubata, un vero e proprio racconto filosofico e investigativo ad un tempo, un dilemma tanto amato da Borges che lo volle nella sua collana La Biblioteca di Babele curata per il geniale editore-artista Franco Maria Ricci ahinoi defunto da poche settimane. 

La lettera rubata ci permette il passaggio verso le detective stories di Poe, perché il suo protagonista è l’antesignano di Sherlock Holmes, l’investigatore-filosofo francese Auguste Dupin, ispirato a sua volta al celebre ispettore francese Vidocq. Si tratta di un ciclo stavolta parigino di Poe che include I delitti della Rue Morgue e Il mistero di Marie Roget

All’orrore e all’incubo, pare sostituirsi nel primo, considerato capostipite del racconto poliziesco, l’orrore tutto animalesco di un delitto all’inizio inspiegabile per logica e location e poi scoperto come compiuto da una bestia immonda, scappata ad un marinaio, nei confronti dell’anziana madre Madame L’Espanaye e sua figlia. 

Ma l’altra cosa bestiale è la logica d’analisi degli indizi usata dall’investigatore che pezzo per pezzo risale alla risoluzione del mistero, inoltrandosi e per le strade parigine (alcune inventandole un po’) e semplicemente mettendo il naso negli infissi e nei dettagli dell’appartamento delle due donne trovate dilaniate da una furia immonda. 

Il mistero di Marie Roget ha invece la peculiarità di essere un adattamento di Poe del caso di cronaca vera di Mary Rogers, donna assassinata in America, mentre lo scrittore ambienta la sua storia a Parigi. Il metodo di Dupin si applica alla cronaca locale, seguendo le molteplici piste fornite dal chiacchiericcio dei giornali locali fino a incontrare la pista giusta per risolvere il crimine. 

Ovviamente uno dei protagonisti dei due racconti è la stessa Parigi, raccontata nei suoi spazi interni, tra redazioni di giornali e appartamenti privati, ma anche dei suoi loschi bordo-Senna e dall’esotismo di marinai e bestie venute dall’estero a perturbare la Ville Lumiere. 

Maestro di logica dell’incubo ma anche di investigazioni nello sconvolgente quotidiano che prende all’improvviso i suoi personaggi, ma anche maestro di poesia come nel già citato poema Il corvo e nella sua ricca produzione poetica, ci permettiamo di concludere segnalando il Poe marginale (solo all’apparenza) dei Marginalia, usciti lo scorso anno per Adelphi.

Come si legge in quarta: “Queste pagine, in parte giornalistiche, in parte da diario segreto, ci consentono di penetrare nell’officina del sommo maestro americano, «meraviglioso cervello sempre all’erta» da cui Baudelaire diceva di aver imparato a pensare”.

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[Fonte Wired.it]