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sabato, Mag 23

Rileggere Sciascia nel giorno dell’anniversario delle stragi di mafia



Da Wired.it :

Maestro dell’indagine letteraria sulla mafia e importante testimone di una Sicilia universale, in questa settimana dell’anniversario della strage di Capaci l’opera di Leonardo Sciascia può servire da guida

(foto: Vittoriano Rastelli/Corbis via Getty Images)

Oggi, sabato 23 maggio, è l’anniversario della terribile strage di Capaci che lasciò vittima magistrato antimafia Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della sua scorta. Una pagina nera della storia italiana (era il 1992), attorno alla quale tutt’ora esistono ombre e misteri irrisolti. In tempi di crisi economica post-Covid, abbiamo letto di frequente di un ritorno di fiamma della mafia in Sicilia in soccorso di persone e negozianti in difficoltà per via della serrata imposta dal lockdown. Il rischio maggiore della pandemia è quello di indebolire non solo i sistemi immunitari ma anche i legami sociali, e quindi di favorire l’influenza di realtà tentacolari che si sostituiscono allo stato.

Inoltre la mafia torna a far parlare di sé anche nell’agone politico e sui media a seguito della sfiducia paventata ed evitata al guardasigilli Alfonso Bonafede, criticato per le scarcerazioni dei boss mafiosi durante l’emergenza virus. È un fenomeno, la mafia, che si può leggere a partire da un grande autore italiano: Leonardo Sciascia.

Con l’acribia del cronista e la penna raffinata dello scrittore quasi illuminista – saggista nel racconto e narratore nel saggio”, disse Sciascia ha saputo raccontare in modo inedito i misteri, i luoghi, le logiche del sistema mafioso come forma mentis più estesa, elevando la cronaca a poesia e facendo di piccoli immaginari o reali paesi siciliani (come la sua Racalmuto che divenne Regalpetra) una Macondo di tutti. O almeno di tutti quelli che vorrebbero più giustizia nel mondo pieno di pasticciacci ovunque. 

Nei suoi romanzi, raccolte di racconti e saggi più famosi ha raccontato trasformazioni e trasformismi della sua terra, non solo del suo presente, anzi spesso rivolgendosi al passato storico. Il famoso maestro di Racalmuto non gradiva molto l’essere definito solo un mafiologo, ma grazie a suo sguardo universale sulla Sicilia ci è utile per capirne le logiche. 

Si potrebbe partire proprio dal suo esordio nella narrativa, che avvenne a fine anni ’50 nei Gettoni di Vittorini: la raccolta di racconti Gli zii di Sicilia. Qui la Sicilia universale che lui ha raccontato si presenta alle prese con la storia nei suoi appuntamenti più recenti del Novecento, dimostrando che il Sud Italiano è capace a volte – suo malgrado – di essere connesso al mondo, nel bene e nel male.

L’arrivo degli Alleati in Sicilia (nel racconto La zia d’America) è raccontato attraverso gli occhi di un ragazzino e spiega perfettamente il trasformismo del passaggio dal fascismo all’americanismo di nuovi comfort ma anche possibilità – come quella dello zio ex fascista che sposa una cugina venuta dall’America. Mentre una delusione ideologica è quella del fervente stalinista siciliano Calogero Schirò, nell’apologo tragicomico di un personaggio che sogna di parlare e confidarsi con Stalin e al quale, passata la guerra, il mito crolla tutto intorno, rivelando a pieno gli orrori della dittatura.

Quasi un omaggio-riscrittura al Gattopardo, pietra miliare del trasformismo sicialiano, è anche il racconto Il quarantotto, dove troviamo anche come personaggio sia Garibaldi che Ippolito Nievo, mentre Antimonio è un racconto di avventura e ingiustizia che racconta l’esperienza di uno zolfataro siciliano nella guerra civile spagnola. Tra il ritratto storico e la cronaca locale resa finzione, senza mai dimenticare il mondo attorno, in potenza vediamo molte delle strade che vedremo percorse successivamente da Sciascia. 

Pochi anni più tardi arriveranno in libreria i primi romanzi e classici del canone sciasciano, ispirati a reali indagini, ma capaci di uno sguardo come già abbiamo detto universale: Il giorno della civetta e A ciascuno il suo.

Il primo celebre romanzo del crimine contiene l’ancora più celebre teoria antropologica dei quaquaraquà del mafioso Don Mariano Arena, espressa al capitano Bellodi, incaricato di indagare – lui venuto da Parma – sull’omicidio palermitano di Salvatore Colasberna. Bellodi, idealista tormentato dall’omertà siciliana, entrerà a capofitto suo malgrado in un dedalo di interrogatori, assassinii e insabbiamenti dovuti all’influenza della politica non solo locale, che, come ha ricordato lo stesso Sciascia, in quegli anni negava l’esistenza stessa della mafia.

“Misteriosa, implacabile, vendicativa; e bellissima” è la regione che lui conosce e che fino alla fine del libro dichiara di amare e odiare assieme. La verità è nel fondo di un pozzo: lei guarda nel fondo di un pozzo e vede il sole e la luna, ma se si butta giù non c’è più nè sole nè luna: c’è la verità”, dice sempre Don Mariano a Bellodi. Per capire la Sicilia e suoi crimini bisogna andare in fondo a qualcosa di terribile, che coinvolge non solo i crimini locali. 

La lettera arrivò con la distribuzione del pomeriggio. Il postino posò prima sul banco, come al solito, il fascio versicolore delle stampe pubblicitarie; poi con precauzione, quasi ci fosse pericolo di vederla esplodere, la lettera: busta gialla, indirizzo a stampa su rettangolino bianco incollato alla busta. – Questa lettera non mi piace – disse il postino”, questo è invece il celebre incipit di A ciascuno il suo, il secondo celeberrimo giallo di Sciascia che inizia nella farmacia del farmacista Manno, che proprio lì riceve una minaccia di morte che presto si avvererà durante una battuta di caccia.

Il titolo del romanzo, che rivela al detective di fortuna e professore di liceo Laurana attraverso una citazione latina una possibile pista, può essere anche interpretato come una resa dei conti della realtà siciliana nei confronti dei personaggi: in primis del professore stesso, che si trova invischiato (fino a morirne) in un delitto di mafia a movente passionale – legato alla avvenente moglie Lucia di uno degli uccisi assieme a Manno, il dottor Roscio – e che coinvolge anche il clero locale e quello spirito omertoso che Sciascia ha raccontato anche altrove.

Il racconto italiano migliore sull’omertà – che è l’omertà stessa di Laurana che nasconde il suo segreto (aver scoperto i mandanti) tanto “che nell’equivoco, nell’ambiguità, moralmente e sensualmente si sentiva (lui) coinvolto” – va di pari passo qui con il racconto delle torbide passioni: “Là dove l’orlo di una gonna saliva di qualche centimetro sul ginocchio, nel raggio di trenta metri c’era sicuramente un siciliano, almeno uno, a spiare il fenomeno”, si legge nel romanzo, in cui l’atmosfera tesa di suspense dei romanzi di mafia successivi pare quasi essere inventata per la prima volta in Italia. 

Tra i tanti romanzi di Sciascia, crediamo valga la pena menzionare un romanzo successivo, Todo Modo, dove Sciascia pare confrontarsi con un altro sistema di potere, quello ecclesiastico – un potere che in tempi recenti abbiamo visto intento a riorganizzarsi per la pandemia (come gli altri tra l’altro omaggiato da Petri con un bell’adattamento cinematografico con degli strepitosi Gian Maria Volonté e Marcello Mastroianni).

Il romanzo, che Pasolini definì perfettamente come un “giallo metafisico”, è degno di menzione non solo perché presenta un realismo visionario, ma proprio perché viene ambientato durante una epidemia. Alti prelati assieme a politici si ritrovano nel distopico e misterioso Eremo-hotel di Zafer per esercitarsi nei loro esercizi spirituali – che in realtà celano accordi di potere tra mafia e politica.

Di fronte al suo gestore Don Gaetano, diabolico e ambiguo prete, si troverà un pittore intrigato dai misteri e dai personaggi dell’Eremo, e in particolare dell’assassinio di uno di essi. L’indagine sarà solo un pretesto per entrare a capofitto nella realtà metafisica del groviglio che come sempre cela la verità, come nella metafora del pozzo di cui sopra. Di fronte la quale la propria vita è un groviglio ulteriore: “Una ragnatela nel vuoto, la propria labile ragnatela.

Molte altre delle opere di Sciascia possono essere oggi lette nei due volumi di Opere che Adelphi ha portato in libreria. Uno degli ultimi arrivati è il Volume II, quello dei saggi, che vale la pena di mettere al fianco dei romanzi e dei romanzi di indagine storica – anche qui Sciascia si rivela il primo maestro del Novecento – come Il consiglio d’Egitto su un caso della Palermo del Settecento – o La strega e il capitano, sul rogo per stregoneria a Caterina Medici nella Milano del Seicento, che l’autore scrupolosamente riapre come un’indagine quasi contro la Chiesa e il suo fanatismo iniquo.

Tra i racconti-inchiesta, alle inquisizioni, cronachette e memorie nonché ai saggi letterari (specie quelli su Pirandello), storici, d’arte e civili (vol. II, tomo II) raccolti da Adelphi – potremmo ricordare anche A futura memoria, che raccoglie i tanti articoli sparsi sui giornali – sulla morte di Calvi, sull’assassinio del generale Dalla Chiesa, sul caso Tortora e tra i quali si trova il celeberrimo j’accuse all’antimafia, che lo stesso Sciascia in parte rivedette successivamente. 

Per concludere, tra i piccoli gioielli da riscoprire, potremmo ritrovare il genio affilato a metà tra indagine del reale e spirito più visionario donato da Sciascia nel piccolo libro Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, che appunto ripercorre in un tono falsamente freddo d’inchiesta il mistero della morte palermitana dello scrittore francese, giocando tra realtà (degli atti) e finzione. Una bella sintesi e introduzione per iniziare, di lato, il percorso di riscoperta di Sciascia. 

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[Fonte Wired.it]