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martedì, Lug 02

Roche e le vie alla trasparenza contro i conflitti di interesse nel settore pharma


L’azienda farmaceutica ha deciso di innovare l’approccio in diverse aree, in nome di una trasparenza che va a impattare su un tema caldo per reputazione e cultura, al centro di una discussione andata in scena all’evento La Roche che vorrei


Nel mondo della sanità è possibile transitare dal conflitto di interessi alla comunione (di interessi) a favore del paziente? La domanda, sotto più punti di vista, è stata al centro dell’evento La Roche che vorrei, alla presenza di Maurizio de Cicco, presidente e amministratore delegato Roche Spa, Nino Cartabellota, presidente Fondazione Gimbe, Carlo Cottarelli, presidente Osservatorio conti pubblici e Michele Tesoro-Tess, Ceo di Reputation Institute Italia Svizzera.

La filiale italiana della multinazionale svizzera che opera nel segmento della farmaceutica e della diagnostica ha annunciato infatti la presentazioni di un nuovo modello operativo al fine di raggiungere una sempre maggiore trasparenza nei suoi rapporti di interazione e collaborazione con diversi soggetti della filiera medica (dai professionisti alle associazioni di pazienti). Tre le leve individuate per perseguire l’obiettivo: gli operatori sanitari non saranno più invitati direttamente dall’azienda a eventi e congressi scientifici: la scelta sarà rimessa al datore di lavoro del professionista. Stesso discorso per conferire un incarico di consulenza: l’ente di appartenenza del medico deve dare o meno la sua conferma all’incarico e alla relativa stipula del contratto formale. Infine, le erogazioni liberali saranno assegnate tramite bandi (sulla scia di progetti già esistenti che utilizzano questo format) .

Una mossa, quella dei bandi, giudicata positiva anche dall’ex commissario alla spesa Cottarelli “perché mette in concorrenza diverse entità; tutto quello che comporta una competizione consente di evitare dei rapporti privilegiati, credo sia una strada senz’altro utile”.

Trasparenza come dogma della credibilità di un’azienda ma de Cicco, nel corso del suo intervento  alla conferenza, fa qualche distinguo: “Oggi le aziende sono chiamate a rendere in maniera trasparente i rapporti con la pubblica amministrazione ma la pubblicazione dei dati da un lato sembra assolvere il compito dell’industria farmaceutica, “io ho messo in chiaro tutti i rapporti”, dall’altro si dà agio ai curiosi per puntare il dito, con una lettura acritica che non dà assolutamente nessun valore a quel dato. Credo che si debba fare di più, partendo dal concetto che il conflitto di interessi sia caratteristica intrinseca al nostro settore, non è patologico ma va gestito in maniera pragmatica e realistica affinché via sia una mitigazione efficace”.

Approccio pragmatico quindi, anche partendo da un modello interno che si fa più domande sulla reale necessità dell’interazione e della collaborazioni con clinici o associazioni, in termini di effettivo valore aggiunto. Il progetto di Roche verte su “regole che aiutano a codificare i comportamenti con la classe medica, con le associazioni scientifiche, per quel che riguarda la cosa più importante, il trasferimento di valore (le donazioni, le consulenze) e abbiamo introdotto meccanismi di terzietà che riteniamo essere davvero efficaci per minimizzare il rischio della patologia del conflitto di interessi”.

In un ecosistema complesso come quello della salute e dei suoi attori, la trasparenza quindi non dovrebbe rappresentare un fine e basta, ma un mezzo per raggiungere una gestione qualitativa generale di tanti fattori e dinamiche, guardando anche a futuri cambiamenti di normativa.

Sulla necessità di “diffondere la consapevolezza pubblica sui trasferimenti di valore presso operatori  e organizzazioni sanitarie e migliorare il livello di trasparenza evitando complottismi o strumentalizzazioni  favorendo collaborazione tra industrie farmaceutiche, professionisti e organizzazioni” insiste anche il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellota. Come rivelava il report della fondazione sui trasferimenti di valore nel 2017, per le aziende aderenti al codice Efpia recepito da Farmindustria nel 2016, alcuni problemi strutturali sussistevano condizionando il livello di trasparenza dei dati pubblicati (che interessavano, solo, ai fini dell’analisi 14 aziende farmaceutiche che, complessivamente rappresentavano il 51,5% del fatturato totale di settore nel 2017). Tra questi problemi strutturali, figuravano l’inadeguatezza dei formati dei file per l’importazione e l’analisi, l’impossibilità di identificare i trasferimenti indiretti in favore degli operatori sanitari ma anche una difformità di interpretazione dell stesso codice deontologico di Farmindustria. E naturalmente la frequente mancanza di dati facoltativi.

Non un dettaglio perché, se rispettare il perimetro delle regole già esistenti sarebbe il minimo, spetta alle aziende, che hanno oltre che obblighi verso gli stakeholders anche responsabilità sociali, fare di più.  Ecco perché secondo Cartabellotta, “se perseguo la linea della trasparenza anche i dati facoltativi li rendo obbligatori, un plus anche per le organizzazioni esterne che minitorano gli attori della sanità”.

Prodotto e innovazione, performance e leadership restano le preoccupazioni prioritarie ma anche etica e trasparenza pesano nella più generale sfera della reputazione delle aziende, fino al 40% suggerisce Tesoro-Tess, ceo di Reputation Institute Italia Svizzera. Anche laddove per il cittadino diventa complesso, come nel caso dell’industria farmaceutica, valutare cosa davvero viene fatto in nome della trasparenza, la pretesa dal basso di maggior chiarezza ed eticità esiste in una stagione dove sussiste dal basso una forte volontà di co-creare i fenomeni e le agende, mentre al contempo si chiede alle corporation di creare sistemi identificativi forti dal punto di vista valoriale per chi è all’esterno.

La percezione pubblica, in un’epoca dove la reputazione di chiunque può essere al centro di una shit-storm sui social che monta nel giro di poche ore, è sempre più importante; anche per questo, guardando al 2020, sottolinea de Cicco, l’obiettivo è “arrivare al 100% di medici che dichiarano la collaborazione con Roche. Noi vorremmo abbandonare il concetto di webgogna. Vogliamo rendere trasparente il tutto, e non c’è nulla di cui potersi nascondere”.

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