Seleziona una pagina
martedì, Ott 27

Romulus, ma quanto si gode a vedere scene alla Game of Thrones recitate in latino!



Da Wired.it :

Protolatino per la precisione. Quello parlato prima della fondazione di Roma e che si combina a battaglie spettacolari. Finalmente un prodotto di intrattenimento che “saccheggia” come si deve il nostro patrimonio storico

Dimenticate la storia di Il primo re. Romulus non è il suo sequel o prequel, né tanto meno il suo spin-off: racconta un’altra storia. O meglio, la stessa – ciò che precede la fondazione di Roma – ma con altri protagonisti, vicende inedite, riferimenti ad altre leggende. De Il primo re, Romulus mantiene intatti l’atmosfera, lo stile, l’ambientazione, il ritmo incalzante, la lingua parlata (il protolatino, con qualche incursione di osco) e la regia di Matteo Rovere, con le new entries Michele Alhaique e Enrico Maria Artale che riescono in quello in cui altre serie hanno fallito: mantenere coerenti registro stilistico e livello qualitativo dietro la macchina da presa. Avvincente come poche altre serie, in Romulus – disponibile su Sky dal 6 novembre – non c’è una sola scena che non valga la pena guardare e godersi fino all’ultimo, almeno nelle prime sei puntate che abbiamo potuto vedere in anteprima (e già possiamo anticiparvi che alla fine della sesta c’è il colpo di scena più clamoroso, che ovviamente ci guardiamo bene dallo spoilerarvi).

L’epica è mescolata ad arte con l’azione, qualche punta di horror – specie quando entra in scena Rumia, creatura mostruosa che strappa il cuore dei malcapitati nel bosco – fa capolino nel fluire di una tensione costante, mantenuta alta puntata dopo puntata. Il primo re non si fa rimpiangere, è il format del genere “peplum” declinato alla maniera di Rovere che dimostra di funzionare appieno, appassionando e seducendo chi guarda senza sosta, con il suo respiro decisamente internazionale. Racconta miti fondativi della nostra cultura, ma nel farlo affronta tematiche universali, come il coraggio, la dignità, la fratellanza, l’amore. C’è dietro un lavoro enorme, e si vede tutto: città e villaggi ricostruiti minuziosamente secondo ricerche storiche documentate e sotto la consulenza di archeologi, migliaia di figurazioni, stunt e armi riprodotte in maniera fedele ed efficace.

I personaggi sono di quelli a cui è facile affezionarsi, tanto sono ben scritti e interpretati. Tutti credibili, nell’incredibilità di quanto vive ciascuno di loro. La loro forza è crescere di spessore e di respiro all’interno della storia, arrivando a mutare caratteri e destini: chi parte come orfano e riesce a rintracciare chi lo adotta nel suo branco, chi parte come re e si ritrova ultimo tra gli ultimi, chi parte da Vestale e diventa guerriera di Marte. È interessante seguire le loro avventure in un mondo primitivo più brutale che mai, in cui le lotte di potere si confondono con il volere degli dei e si muore ogni giorno nei modi più feroci.

La vita degli uomini è ridotta a pura animalità, salvo lo spazio concesso alle emozioni: compiangere un fratello ucciso, sentire la mancanza del proprio amato, provare una solitudine interiore per non essere mai stati considerati da qualcuno. È quanto capita agli eccezionali protagonisti della serie, Andrea Arcangeli nei panni di Yemos, Francesco di Napoli in quelli di Wiros e Marianna Fontana, che veste con talento e convinzione i panni continuamente mutevoli di Ilia. In un mondo maschile, visivamente sempre raccontato e restituito sullo schermo come machista, fa piacere rintracciare figure femminili degne di nota, protagoniste al pari degli altri, proprio come accade nel caso di Ilia.

Se le ultime quattro puntate non deludono, tra guerre, lotte di potere, colpi di scena e sentimenti potenti, Romulus si appresta a diventare la “nostra” Game of Thrones.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]