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giovedì, Gen 28

Sanremo col pubblico o senza Amadeus, lo psicodramma di cui non avevamo bisogno



Da Wired.it :

Di poltrone lasciamo parlare Renzi e Conte: Amadeus, Rai e ministri dovrebbero parlare di musica e sicurezza con un minimo di elasticità e sgombrando il campo da mortificanti questioni di principio

Che sul pubblico di Sanremo si sia scatenata una specie di crisi di mezza pandemia è ormai evidente. Oggi addirittura Amadeus, direttore artistico e conduttore, sembrerebbe minacciare di mollare tutto. La ragione? Il progetto di portare in platea al teatro Ariston coppie di figuranti, pagate e controllate come accade in altri programmi tv che ne hanno fatto o ne fanno uso (vedi fra gli altri C’è posta per te o X-Factor), non sembrerebbe possibile. Il ministro Dario Franceschini, evidentemente impegnato giorno e notte a costruire la “Netflix della cultura”, ha detto che no, l’Ariston non è uno studio televisivo ma un teatro quindi le poltrone devono restare vuote: niente pubblico pagante ma neanche quelle figure professionali che da mesi, e in base alle disposizioni governative, popolano molti studi tv in quanto ritenuti “soltanto un elemento ‘coreografico’ o comunque strettamente funzionale alla trasmissione“, ferme restando le norme di igiene, distanziamento e controllo con tamponi antigenici rapidi.

Amadeus a Sanremo

La faccenda, che riporta comunque Sanremo al centro di un certo dibattito come vuole tradizione, ha due livelli di lettura. Il primo è quello dell’ermeneutica franceschiniana, per così dire, cioè quella branca di politologia ormai specializzata nell’interpretazione delle esternazioni del ministro dei Beni culturali: se l’Ariston è uno studio tv, si applicano le prescrizioni previste per i programmi televisivi. Altrimenti non si capisce perché il pubblico a Sanremo non possa esserci e a Italia’s Got Talent sì. Qualcuno lo dica a Franceschini, e anche al collega della Salute Roberto Speranza, e la faccenda si può risolvere nel giro di un tweet. In un contesto del genere, e con le regole che la produzione Rai garantisce di applicare, senza biglietti venduti né inviti ma con tamponi, distanze e controlli, l’Ariston non è “un teatro come tutti gli altri”, come scriveva il ministro. È un teatro, certo, ma nel senso di teatro di posa, insomma uno studio televisivo a tutti gli effetti. Al resto delle misure e dell’ordine pubblico in città devono pensarci il prefetto e la Asl, non Amadeus né Bugo, Ibrahimovic (a cui d’altronde l’ordine pubblico proprio non lo delegheremmo) o il direttore di Rai1.

Il secondo livello è invece quello che conta. Ed è quello che dovrebbe riportarci con i piedi per terra. Contiamo ancora 4/500 morti al giorno di Covid-19. La situazione sanitaria è seria, perché se alcune misure sembrano funzionare il paese continua ad attraversare da mesi un buco nero fatto di ricoveri, sofferenza, lutti. Il capitale umano che il virus ci sta tragicamente rubando. Poi c’è quello economico ed educativo, con altrettanta sofferenza e uno scenario che vedremo nella sua desolazione solo fra qualche mese, quando alcune misure come il blocco dei licenziamenti salteranno. Tutto affrontato con le gambe d’argilla, immersi in un’instabilità istituzionale che ci ha condotto a una crisi politica in piena pandemia, con una quantità raggelante di incombenze sulle quali siamo già in ritardo, dal Recovery Plan alla campagna vaccinale che stenta a decollare.

Sanremo non c’entra nulla su tutto questo, ovviamente, come non c’entra la Rai che cerca di preparare al meglio un appuntamento al quale molti italiani sono affezionati. Un appuntamento che “fa stagione” da solo, segna la quasi fine dell’inverno, lancia nuovi personaggi, successi, tendenze, alleggerisce e nello stesso tempo dà l’opportunità di fare il punto su alcune questioni che frullano nel costume del paese in quel periodo. Un po’ una riunione di famiglia di quelle a cui non hai mai voglia di andare ma alla fine fai le due sul divano. Peccato, oltre che un enorme problema pubblicitario e di conti, saltarlo o non riuscire a trovare una formula decente. Eppure non dovremmo trasformarlo nell’altare di un esaurimento nervoso generale, con un approccio totalmente fuori tara, che allontani l’Ariston dal paese più di quanto già non accada di solito.

Il grottesco dibattito sul pubblico è un aspetto che rischia di spostare totalmente il fuoco da quello che dovrebbe essere Sanremo quest’anno: un evento che si riallacci all’edizione dello scorso anno (l’ultimo grande e nostalgico appuntamento prima del Grande Inverno del virus), e costruisca una prospettiva per la primavera e l’estate che si spera ci porteranno in parte fuori dall’emergenza. Di poltrone lasciamo parlare Matteo Renzi e Giuseppe Conte: noi (e Amadeus insieme alla Rai e ai ministri competenti) dovremmo parlare di musica, di costume, di ospiti, di cultura con un minimo di elasticità e seguendo le norme in sicurezza ma sgombrando il campo da inutili (e mortificanti) sfinimenti di principio.

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[Fonte Wired.it]