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martedì, Giu 30

Saremmo pronti per un nuovo lockdown?

Da Punto-Informatico.it :

Saremmo pronti per un nuovo lockdown? Vi siete mai posti questa domanda? La verità è che troppe persone (e di rango troppo elevato) preferiscono non porsela. Come fosse tabù, come se pensarci fosse peccaminoso o menagramo. In realtà, se ci avessimo pensato prima, ci saremmo risparmiati un bel po’ di problemi e oggi siamo nella stessa identica posizione di febbraio: la minaccia è lontana, ma è presente, sappiamo che potrebbe nuovamente esplodere, ma al tempo stesso lo neghiamo a noi stessi e al dibattito collettivo. E noi che facciamo? Ripetiamoci la domanda: e noi che facciamo?

Smart working

Ci è bastato un piccolo sondaggio (senza alcuna rilevanza statistica, solo per sentire il polso del paese) per capire che tutto sommato il pensiero di Giuseppe Sala è quello di molti dirigenti d’azienda. Bello lo smart working, interessante lo smart working, da approfondire lo smart working, dobbiamo studiarlo questo smart working, riflettiamo su questo smart working, ma ora per pietà si torni a lavorare. E tutti in ufficio. Con la mascherina? Beh, si, il primo giorno forse. Il secondo giorno con una strizzatina d’occhio la toglieremo perché fa caldo. Il terzo giorno ci si stringerà la mano perché mica vorremo non fidarci gli uni degli altri. Il quarto giorno si organizza il calcetto per tornare alle vecchie abitudini, il quinto giorno è già collaborazione stretta palmo a palmo in sala riunioni. Il sesto e settimo giorno si porta il frutto del proprio lavoro nelle rispettive abitazioni. Ah dicevamo: lo smart working? Beh, se ci saranno problemi ci penseremo.

Di fatto chi si è mosso per una traslazione seria al cloud? Chi ha pensato a vere policy di sicurezza? Chi ha realmente organizzato un’evoluzione della cultura aziendale per far sì che il lavoro possa realmente diventare “agile” in caso di bisogno – ma non solo in caso di bisogno? La tua azienda cosa ha fatto in tal senso in queste settimane, in preparazione a quello che potrebbe essere il prossimo autunno? Possiamo porre queste domande in azienda, ma si potrebbe essere tacciati di eccessiva negatività, qualcosa che non sposa l’aziendalismo. Possiamo porle a noi stessi, e chiederci se abbiamo almeno tentato di fare qualcosa per instillare questo dubbio presso la propria funzione, presso i propri referenti, presso chi potrebbe avere in mano una leva per assicurare all’azienda una reale capacità di reazione di fronte ad un nuovo shock.

Porre domande oggi non è ostacolo, anzi: è intelligenza, è visione, è cautela che potrebbe diventare estremamente preziosa in caso di orizzonti nefasti. Ma troppi continuano a negare a sé stessi questa possibilità. Con costoro la legge di Murphy sarà spietata.

Scuola e formazione

Tutti ben sappiamo cosa stia succedendo in ambito scolastico: anzi, tutti ben sappiamo quanto se ne stia parlando, ma in realtà non è chiaro cosa si voglia fare, cosa si possa fare, né quali siano le alternative in campo. Il quadro della scuola è infatti estremamente complesso, i tempi di reazione sono estremamente lenti e le frizioni in campo non aiuteranno di certo ad un inizio anno scolastico sereno. In questo caso il digitale è una sorta di ruota di scorta, perché – almeno per quanto concernente la scuola dell’obbligo – la presenza in classe ha ancora una importanza specifica in termini di rapporti e di formazione. Per i più grandi il problema è relativamente minore perché l’età consente un maggior impegno sul Web e le università online già dispongono di strumenti sofisticati e metodi collaudati.

Ma saremmo pronti ad affrontare un nuovo picco di traffico dovuto alle lezioni in streaming? Quanta copertura del territorio abbiamo ricavato in queste settimane? A che punto sarà la banda larga in autunno, visto e considerato che le uniche notizie in arrivo sono legate a coperture ferme e lavori in panne? La politica riuscirà a sciogliere i nodi della “one network”? Il problema banda larga non si risolve in pochi mesi, ma lo shock del precedente lockdown ha smosso qualcosa o siamo ancor sempre e solo impantanati su una situazione che ha reso cronico il digital divide nostrano? Trattasi di domande retoriche, lo sappiamo, ma porsele è necessario proprio per esaltare l’assenza di risposte e di soluzioni.

Una cosa è certa: dopo il primo lockdown le famiglie saranno più preparate. La forza bruta che ha spinto la formazione da remoto nelle case ha conseguito almeno questo risultato, forzando la mano e obbligando tutti a sperimentarsi con questa nuova realtà. Se dovesse di nuove accadere quel che nessuno si augura – ma che a macchia di leopardo potrebbe tranquillamente accadere – ci sarà una base molto più pronta pur a fronte di infrastrutture ferme. Gli strumenti online, invece, sono evoluti per migliorare i punti deboli evidenziati in precedenza: Zoom in termini di privacy e sicurezza, Meet in funzionalità, Teams affinando una serie di dettagli ulteriori.

Insomma: la situazione sarà migliore solo perché in precedenza il mondo scolastico non era in alcun modo pronto ad affrontare questa pandemia. Ma la reazione c’è stata, veemente. Ora la sensazione è che ci si trovi ancora una volta deboli, ma non inermi: la scuola saprà reagire, ma solo facendo leva su tutta la buona volontà di insegnanti, famiglie e studenti: il digitale sarà un supporto fondamentale, ma con una serie di mancanze a cui solo l’elemento umano potrà sopperire.

Commercio

I dati statistici confermano quanto si era intuito fin dai primi giorni: il lockdown ha spinto una moltitudine di piccoli esercenti a riversarsi online come unica alternativa alla chiusura. Alternativa – sorprendentemente, per qualcuno – anche profittevole. Chi era già organizzato aveva a disposizione tutto quanto necessario, gli altri si sono improvvisati, ma sono in molti ad aver avuto un impatto oltremodo violento con la necessità assoluta di vendere online per poter servire i propri clienti.

Il tutto è nato come parentesi destinata a chiudersi, ma per molte realtà si è trattata invece di una vera e propria evoluzione nel servizio: gli esercenti di strada, così come i ristoranti che hanno assaggiato il food delivery, hanno in molti casi intuito le potenzialità di questa dimensione. Non si tratta però della maggioranza, questo è chiaro. Servizi come EasyCommercio sono ora a disposizione di quanti vogliono prepararsi al futuro senza attendere nuovi shock: occorre anticipare i tempi e farsi trovare pronti sotto ogni punto di vista, avendo a disposizione tutti gli strumenti necessari (benché basilari!) per affrontare non solo una nuova emergenza, ma anche e soprattutto una “new normality”.

Non è soltanto questione di e-commerce: il digitale sta permeando a questo punto in ogni forma e dimensione del commercio, il che rende necessario adeguarsi perché la ricchezza dei servizi elargiti è chiaramente proporzionale alla forza che si è in grado di esprimere nel proprio segmento. Il primo lockdown ha cancellato le scuse, il secondo potrebbe tagliare le gambe: la selezione potrebbe essere radicale. Non ci sono scuse di fronte al destino: ci sarà chi si presenta pronto all’appuntamento e chi invece non potrà far altro che abbassare le saracinesche. Il che sarebbe un peccato, visto che la domanda di e-commerce è cresciuta ben più rapidamente che non l’offerta.

Pagamenti

Il fronte dei pagamenti cashless è forse il più caldo in assoluto: molti nuovi utenti hanno potuto sperimentare le nuove modalità di pagamento online ed hanno aperto conti correnti o carte di credito. L’impennata è stata forte e difficilmente la rotta si invertirà. Su questo fronte convergono infatti trend consolidati: un interesse sempre maggiore per i pagamenti online, la lotta all’evasione attraverso la riduzione del contante e l’aumento degli acquisti online vanno tutti nella medesima direzione.

Tutto ciò è qui per rimanere: una recente indagine Mastercard testimonia l’importanza del lockdown nell’accelerare questo processo, cogliendo in pochi mesi i risultati che ci si attendeva nel giro di qualche anno. Un eventuale secondo lockdown troverà da questo punto di vista gli italiani più pronti e attrezzati. Con i medesimi problemi di sicurezza (se non maggiori) ma con le idee più chiare su come funzionino certi strumenti, tanto online quanto negli acquisti di prossimità.

Immuni

Immuni è uno strumento nuovo, unico nel suo genere in Italia: non si era mai avuta un’app di contact tracing per fini sanitari. Questo essere cosa nuova è la sua principale debolezza perché, si sa, quel che è ignoto spesso fa paura. Critiche lecite e critiche meno lecite hanno però minato il terreno di fronte al progetto, rendendone ben più complesso l’incedere. L’app potrebbe rivelarsi un flop o un successo, ma lo si potrà capire soltanto in autunno, di fronte ad eventuali nuovi focolai e in presenza di un sufficiente numero di download. La parabola al momento è lenta: Immuni è arrivata nel momento più favorevole delle strategie di contenimento, affrontando così una platea non più terrorizzata dal virus ma concentrata soprattutto a ripartire.

Immuni potrebbe essere uno strumento fondamentale, ma non è detto che gli italiani lo avranno a sufficienza. Quando arriverà l’autunno, infatti, si faranno i conti dei download e si potrà capire se in presenza di nuove infezioni potrà essere uno strumento sufficientemente presente, sufficientemente testato e sufficientemente corretto dal punto di vista dei protocolli sanitari. Immuni è qualcosa per il quale ancora ci stiamo preparando: manca la versione per Huawei (in arrivo), ma manca soprattutto la giusta consapevolezza da parte degli utenti circa il reale funzionamento (ancora si legge sui social di utenti preoccupati per questioni già largamente affrontate e chiarite).

Immuni scadrà il proprio mandato a fine anno. Entro il 31 dicembre potrà segnalare i contatti a rischio, dopodiché ogni dato sarà cancellato. Immuni ha dunque di fronte un autunno per convincere e per svelare la propria utilità: settembre è però dietro l’angolo e solo una vasta campagna di comunicazione potrà aiutare a tal fine. Al momento tutto ciò non si è visto e questo rende l’app più debole rispetto a critiche spesso motivate anche da movente politico.

Lockdown di ritorno

L’ondata di ritorno potrà essere peggiore. Anzi no, il virus è clinicamente scomparso. Anzi no, la parabola è la medesima della Spagnola e l’autunno sarà tremendo. Anzi no, l’importante è concentrarsi sull’economia. Anzi no, era tutto falso, ha stato Soros e Gates. La cosiddetta “infodemia” non è certo terminata, anzi. Se possibile, la confusione regna ancor più sovrana: abbiamo imparato a leggere in modo critico ed a porci le giuste domande? Abbiamo imparato a scremare le fonti o crediamo ancora a qualsiasi cosa venga condivisa sulla nostra bacheca? Abbiamo imparato i termini base per la comprensione scientifica di quanto accaduto?

Lo smart working non è pronto, la digital transformation resta una bolla di promesse e di “farò”, Immuni lo scaricano in pochi, molti negozi hanno già smesso di accudire le proprie pagine online ed ogni discorso relativo alla scuola è esclusivamente improntato al rientro in classe. Serve altro per capire che in realtà non siamo assolutamente pronti ad affrontare un nuovo lockdown, perché lo approcciamo con i medesimi errori, le medesime valutazioni superficiali, i medesimi vizi e le medesime distorsioni concettuali? Non siamo pronti e possiamo soltanto sperare che non avvenga perché, a differenza del primo, questo arriverà meno improvviso e ci troverà più consapevoli. Ma saremo consapevoli semplicemente di aver sbagliato di nuovo, il che sarebbe peggio.

Mettiamo la mascherina. Teniamo le distanze. Scarichiamo Immuni. Ragioniamo sul da farsi per non far cogliere impreparata la nostra attività. In estate prepariamo le provviste, perché il letargo potrebbe essere rigido.



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