Tra eruzioni vulcaniche, carestie e un’oscurità che ha trascinato il mondo dentro un inverno lungo 18 mesi, il 536 dopo Cristo è passato alla storia come l’anno peggiore di sempre. Saverio Raimondo lo ha studiato per trasformarlo in un palcoscenico dove mettere in scena una spietata (e insensata) commedia umana. Il suo ultimo libro Annus horribilis (SEM) racconta la vita catastrofica di quattro personaggi, sullo sfondo di una catastrofe ben più grande. Abbiamo incontrato Saverio Raimondo e con lui abbiamo discusso di disastri, filosofia e di come sopravvivere – ridendone – alla fine del mondo.
Come nasce Annus horribilis?
L’idea arriva cinque anni fa quando mi ritrovai a sfogliare uno studio di alcuni storici che decretava il 536 dopo Cristo come l’anno peggiore della storia. La cosa mi colpì perché era uno scenario grottesco fatto di guerre, crisi economiche, pandemie, carestie e una crisi climatica. Un momento storico che non poteva non fare da sfondo a una storia comica.
Una scoperta fatta cinque anni fa, mentre eravamo noi a essere in piena pandemia. Un caso? Sicuramente no. Credo che il suo scopo fosse proprio ridimensionare il periodo che stavamo vivendo, perché nel 2020 eravamo tutti convinti di vivere qualcosa di straordinario e irripetibile.
E invece alla fine scopriamo che la storia è ciclica.
Il mondo non fa altro che finire, ma poi non finisce mai. Non voglio sminuire la tragedia dei tempi attuali, però non la ritengo una tragedia speciale. Mi piace citare il vescovo che in Otto e mezzo dice a un Mastroianni in cerca del senso della vita che non sta scritto da nessuna parte che si viene al mondo per essere felici. Ed è così: il mondo è un brutto posto, lo è sempre stato e lo sarà sempre.
