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lunedì, Mag 10

Sbarchi nel Mediterraneo, perché non prendere a modello Mare Nostrum del 2013?



Da Wired.it :

La politica dei porti chiusi è inaccettabile e l’Ue non può pensare solo ai rimpatri. Un precedente da cui partire ci sarebbe, quello voluto da Letta anni fa che vedeva congiunte aeronautica e marina militari, questa volta però forti dell’appoggio comunitario

Gli ultimi sbarchi a Lampedusa sono della scorsa notte: quattro barconi con 635 persone a bordo. In 24 ore, sull’isola si sono contati una ventina di arrivi per un totale di oltre 2mila persone trasferite nell’hotspot locale. Le traversate non si sono mai interrotte, e il meteo più clemente è un tema effettivo ma non sufficiente: il mese scorso c’è stato un naufragio in cui hanno perso la vita 130 persone. Un naufragio il cui bilancio poteva essere diverso se i soccorsi si fossero attivati per tempo, senza quel criminale rimpallo fra centri di coordinamento del soccorso in mare italiano, maltese e – si fa per dire – libico costato oltre un giorno di volontaria sordità e cecità alle richieste d’aiuto. Intanto in mare, nella zona Sar di competenza maltese, ci sono ancora imbarcazioni in pericolo: secondo Alarm Phone sono almeno cinque, per un totale di 419 persone senza carburante, acqua e cibo.

Getty Images

L’Europa è di nuovo assente. Manca dal Mediterraneo centrale ormai da anni. Come minimo dall’operazione Sophia, lanciata nel 2015 e conclusa nel 2020 e che pure aveva altri obiettivi. L’ allo stesso modo, non ha più predisposto una missione come la Mare nostrum, durata un anno, dall’ottobre 2013 a quello 2014, e voluta dall’allora governo presieduto da Enrico Letta grazie alla Marina Militare e all’Aeronautica dopo la strage di Lampedusa costata oltre 600 vite. Quello dovrebbe essere il modello: salvare migliaia di vite come priorità assoluta. Cosa che la seguente missione Triton dell’Ue non ha fatto. Né appunto Sophia. Dando vita alla stagione delle ong che con fatica, difendendosi dalla continua guerriglia burocratica, dalle raffiche di mitra della sedicente guardia costiera libica sparati dalle motovedette donate dall’Italia (ultimamente anche sui pescherecci siciliani) e dalla campagna di criminalizzazione molto semplicemente riempiono un vuoto delittuoso. Tutto questo mentre da palazzo Chigi arrivavano anche i complimenti alle bande di Tripoli.

Migranti2
Foto LaPresse – Carmelo Imbesi

In parole povere: né nella strategia europea né in quella nazionale le operazioni di cosiddetto “search and rescue” sembrano avere ormai una qualche importanza. La prassi documentata dalle cronache delle scorse settimane, col rimbalzo di telefonate e richieste di soccorso cadute nel vuoto degli alti ufficiali, lo testimonia senza bisogno di ulteriori sottolineature. E poco c’è da aspettarsi dalla nuova “cabina di regia” – di questi tempi una cabina di regia non si nega a nessuno – che la ministra Luciana Lamorgese ha annunciato poche ore fa per affrontare “l’emergenza”.

Intanto Salvini ha ricominciato a scaldare la sua retorica sul tema: anche in questo caso c’è una latitanza politico-istituzionale che gli lascia spazi sterminati ed è d’altronde impensabile che l’esecutivo Draghi possa impegnarsi in un’operazione simile a Mare Nostrum, che è l’unica cosa che servirebbe e anche in breve tempo. Non ne ha la forza politica proprio per la maggioranza arlecchino che lo sostiene e in fondo neanche la volontà di logorarsi su quel fronte, con il treno di complicatissime riforme che è obbligato ad approvare entro pochi mesi per ottenere i soldi del Recovery Fund. Mani e piedi legati.

Enrico Letta

Lo specchio di mare fra Sicilia, Libia e Tunisia è così sguarnito del minimo pattugliamento e di un coordinamento efficace dei soccorsi, che rimangono affidati alle poche ong che provano a schivare la strategia Lamorgese. Sotto la competenza della ministra all’Interno, infatti, si sono contati più blocchi navali che nella stagione salviniana al Viminale: giorni fa Matteo Villa, analista di Ispi, spiegava che durante il Conte II si è arrivati al fermo amministrativo di sette imbarcazioni in contemporanea fra ottobre e dicembre 2020. Nell’estate 2019, quella del Papeete per cui Salvini ha affrontato diversi procedimenti giudiziari, non si è mai andati oltre le quattro navi fermate. Insomma, con formule in parte diverse (appunto il fermo anziché il sequestro penale) la linea del leghista è rimasta in gran parte quella di Lamorgese, più tecnica e meno politica. Almeno su questo punto.

Il lavoro della Commissione Europea è invece in parte surreale: totalmente concentrato intorno a un meccanismo efficiente dei rimpatri. Di search and rescue non c’è traccia (se non in termini di condivisione delle persone sbarcate fra i vari paesi), l’agenzia Frontex è a pezzi e oggetto di almeno tre differenti indagini e il vicepresidente della Commissione europea, il greco Margaritis Schoinas, insieme alla commissaria agli Affari interni, la svedese Ylva Johansson, sembrano concentrati anima e corpo sui rimpatri volontari e forzati per chi non ottenga lo status di rifugiato o altre forme di accoglienza. Le loro preoccupazioni ruotano, come da anni, intorno agli accordi con i paesi di provenienza in base al nuovo patto su migrazione e asilo approvato lo scorso autunno. L’Ue dovrebbe recuperare l’esempio di qualche anno fa, riformare alle radici Frontex e lanciare la sua Mare Nostrum per togliere fiato alle trombe del populismo morente. Ma è più probabile che ci aspetti un’altra stagione di morti senza nome, telefonate senza risposta e appelli ai “blocchi navali”.

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[Fonte Wired.it]