Seleziona una pagina
lunedì, Gen 18

Scorie nucleari, chiesto più tempo per il deposito nazionale



Da Wired.it :

La pubblicazione della Cnapi ha messo sulla difensiva i Comuni, che chiedono più tempo per le osservazioni. Emendamento in Parlamento al Milleproroghe. I rischi della delicata partita

La centrale nucleare di Garigliano (Sogin)
La centrale nucleare di Garigliano (Sogin)

C’è un punto fermo nell’annosa vicenda del deposito nazionale che l’Italia deve costruire per stoccare le sue scorie nucleari. Ed è che il progetto non si può più rimandare. A fine ottobre lo ha sollecitato anche la Commissione europea. Quel che è tutto da scrivere è come l’Italia arriverà al traguardo. A cominciare dall’indirizzo del futuro impianto. Il 5 gennaio, a dieci anni dal decreto di incarico, cinque dalla prima bozza e a quasi due dall’ultima revisione, Sogin, la società di Stato incaricata dello smantellamento nucleare, ha pubblicato la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), ossia la mappa delle aree che hanno le carte in regole per ospitare il deposito nazionale. Sono 67, dislocate tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Dodici in particolare, tra le province di Torino, Alessandria e Viterbo, rispondono a pieni voti ai criteri stabiliti da Sogin.

L’Italia è uno dei pochi paesi in Europa a non avere ancora una struttura di questo tipo. Nel deposito saranno stoccati 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e parcheggiati temporaneamente quelli ad alta intensità, in attesa che a livello comunitario si costruisca un impianto centralizzato per questi ultimi. Oltre alle scorie dallo smantellamento delle ex centrali e di altri impianti della filiera dell’atomo lungo la penisola, convergeranno nel deposito anche rifiuti ospedalieri, come quelli della medicina nucleare, e industriali. La costruzione durerà quattro anni e il costo stimato è di 900 milioni di euro.

I sindaci chiedono più tempo

La palla passa ora ai Comuni chiamati in causa. Dalla pubblicazione hanno due mesi per dire la loro. “Abbiamo 60 giorni per produrre delle osservazioni, nominare degli esperti, realizzare un dossier, fare delle controdeduzioni dal punto di vista geologico e antropico”, spiega Ivana Gaveglio, sindaca di Carmagnola, 30 chilometri a sud di Torino e tra le aree con la valutazione migliore per Sogin. “Mi servono un esperto di diritto ambientale, un ingegnere idraulico, uno ambientale, un esperto di terreni agricoli”, enumera. E quelli che sono ormai diventati meno di 50 giorni alla scadenza appaiono troppo pochi per produrre un documento completo, in un momento in cui le ricadute locali delle restrizioni per l’emergenza sanitaria stanno già impegnando i sindaci.

Tenuta segreta per cinque anni, come ha appurato anche Wired attraverso alcune inchieste, nei cassetti dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente, la carta è arrivata come un fulmine a ciel sereno. Senza preavviso per i sindaci. “Ora noi in 60 giorni dobbiamo analizzare quello che professionisti hanno fatto in anni”, taglia corto Sergio Caci, primo cittadino di Montalto di Castro: “È irrispettoso verso gli enti locali”.

La mappa degli impianti nucleari in Italia (Sogin)
La mappa degli impianti nucleari in Italia (Sogin)

Un emendamento al Milleproroghe

Per questo, dopo l’improvvisa pubblicazione e il coro sempre più numeroso di contrari, in parlamento si lavora a un emendamento per fermare quello che rischia di rivelarsi un boomerang politico. “È stato sbagliato il processo di tenere questa carta chiusa nelle casseforti per molti anni perché scottante. Così si è alimentata una profezia che si auto-avvera. Andava pubblicata subito e avviate le trattative”, è la sintesi di Alessandro Beulcke, presidente di Nimby forum, un osservatorio sulle contestazioni territoriali contro le grandi opere.

Sono almeno tre i progetti per dare più tempo ai sindaci per approfondire il progetto del deposito nazionale e presentare le proprie controdeduzioni, oltre a una mozione della Lega che chiede di posticipare l’iter alla fine dell’emergenza sanitaria. Da un lato c’è il Movimento 5 Stelle. Giovanni Vianello spiega che “stiamo lavorando a un emendamento per aumentare i tempi per fare le osservazioni e i soggetti che possono intervenire”. L’idea è di passare da 60 a 120 giorni. “Dobbiamo ampliare il criterio di partecipazione. È necessario fare questo deposito, oggi i rifiuti radioattivi sono sparsi in riti non idonei”, aggiunge.

Un progetto simile porta avanti Rossella Muroni di Liberi e uguali: “Stiamo valutando tutte le opzioni, c’è bisogno di più tempo. Dal punto di vista della comunicazione si è fatto un grande errore, bisognava spiegare meglio i criteri”. L’aggancio a cui guardano è la conversione del decreto Milleproroghe, pubblicato il 30 dicembre. Ci sono due mesi per la conversione. E c’è il placet del ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, che nell’ultima audizione in commissione Ecomafie, spiega Muroni, “ha detto di vedere di buon occhio un intervento di questo genere”. Il terzo emendamento è a firma Partito democratico.

Sviluppo del piano a vita intera di Sogin (Sogin)
Sviluppo del piano a vita intera di Sogin (Sogin)

Il muro dei Comuni

Ma tutto è sub iudice della crisi di governo in corso. E dell’alzata di scudi dei territori. Antonia Maria Fidanza, sindaca di Oppido Lucano, in Basilicata, spiega che c’è un coordinamento tra sindaci, provincia, regione e con la vicina Puglia per dire no al deposito. “L’alto Bradano è un territorio a vocazione agricola e turistica, il deposito è incompatibile, anche alla luce degli investimenti pubblici fatti. Penso che faremo un documento unico”, anticipa.

Il problema è che trovare una casa al deposito nazionale non sarà semplice. Delle 67 aree, poco meno della metà, 29, sono in area sismica 2. Un semaforo giallo, stando all’ordine di idoneità di Sogin, che tra Viterbo, Potenza e Basilicata spinge i sindaci a opporsi. Poi ci sono contestazioni ai valori espressi dalla carta. La sindaca di Carmagnola, che pure si dice a disposizione per “ascoltare le ragioni del sì”, osserva che c’è un errore “nella classificazione sismica e spiega che a 1,4 chilometri di distanza dal terreno interessato sorge una centrale elettrica, considerato tra i parametri di esclusione. La carta identifica alcune aree anche in Sardegna e Sicilia, benché la complessità del trasporto via mare le renda meno preferibili della terraferma. A Nuragus, nell’entroterra sardo, il sindaco Giovanni Daga anticipa il no: “Ci sono dei siti archeologici, due chiese, di cui una fruibile, e a due chilometri dal terreno individuato un lago”. Di “inesattezze nei documenti” parla anche il primo cittadino di Montalto di Castro.

Franco Gazzaniga entra nel suo settimo anno da sindaco a Bosco Marengo, nell’Alessandrino. Il suo è uno dei Comuni più titolati per ospitare il deposito. “È un discorso che non mi giunge di sorpresa”, dice. D’altronde, con Sogin ha a che fare da tempo, visto che sul suo territorio insiste uno degli impianti nucleari che la società ha smantellato al livello brownfield (con i rifiuti in sicurezza). “Con Sogin c’è stata sempre la massima trasparenza”, dice Gazzaniga, che però anticipa già che non vuole il deposito in casa: “Quell’area, dopo che i rifiuti saranno stoccati e sarà portata a greenfield (ripristinando lo stato originario, ndr) sarà usata per altri scopi”.

Allontanamento delle resine dalla centrale nucleare di Caorso (Sogin)

L’esempio francese

In molti casi il no risponde a ragioni di conservazione di aree rurali. Come afferma Paola Porzio, sindaca di Quargneto (in Piemonte): “Il deposito porterebbe via la vocazione agricola”. In Francia, tuttavia, il deposito di Aube – una struttura del tutto simile a quella che costruirà Sogin – sorge nella regione della Champagne-Ardenne, che non ha perso in termini di turismo né della produzione vinicola che la rende famosa in tutto il mondo. Più del 61% del distretto è destinato alla coltivazione della terra e si contano oltre 282 chilometri quadrati di vigne. “E i cittadini hanno una libertà di accesso ai dati che è unica”, osserva Muroni. In Spagna l’impianto di El Cabril, vicino Cordoba, è entrato in funzione nel 1992 e si trova poco distante da un parco naturale.

L’impianto è sicuro”, afferma Beulcke. Occuperà 150 ettari, di cui 110 per il deposito vero e proprio. Sarà composto di novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette le celle, che a loro volta conterranno dei moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti. Una sorta di matrioska per sigillarli per i successivi 300 anni. A fianco del deposito sorgerà un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari. La costruzione impiegherà quattromila persone, stima Sogin, e 700 l’impianto. Ai Comuni spetta un contributo economico da contrattare con la società. Per il 2018 e 2019 sono stati ripartiti poco meno di 30 milioni.

Lo smantellamento dell'alternatore nella centrale nucleare di Garigliano (Sogin)
Lo smantellamento dell’alternatore nella centrale nucleare di Garigliano (Sogin)

I prossimi passi

Per Beulcke “la resilienza locale, che pretende informazioni per un progetto, non è sbagliata”. Ma più che di fronte a movimenti nimby (not in my backyard, non nel mio cortile), quel che l’esperto vede sono forme di nimto (not in my term of office, non durante il mio mandato) da parte di presidenti di provincia o ministri, come quello alla Salute, Roberto Speranza (originario di Potenza), che si è messo contro al progetto in Basilicata. “Un tipo di opposizione non su basi fattive, ma per consenso”, analizza Beulcke.

La Cnapi non esaurisce il processo di scelta. Dopo questa prima fase di consultazione e un seminario nazionale, Sogin revisionerà la carta e stringerà ancora di più la rosa dei siti, giungendo alla Cnai (Carta delle aree idonee). A quel punto inizieranno le negoziazioni con i territori, finché sarà scelto il sito del deposito. D’imperio da parte del ministero dello Sviluppo economico, come ultima spiaggia, se non si giungerà a nessun accordo. Per questo per Muroni servono “garanzie di trasparenza”. D’altro canto, come ha rilevato la deputata, rimandare questa scelta non ha giovato. Né in termini ambientali né economici. L’Italia ha contratti milionari per tenere alcune scorie in Francia e nel Regno Unito, benché Sogin sia riuscita a strappare qualche sconto. Nel complesso il piano dell’azienda ci costa 7,2 miliardi, di cui 2,3 nei prossimi 15 anni. Fine nel 2035, sempre che si riescano a rispettare i tempi.

Potrebbe interessarti anche





[Fonte Wired.it]