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giovedì, Ago 20

Se la soluzione per le scuole è la mascherina, perché non le abbiamo riaperte prima?



Da Wired.it :

Dopo un semestre di immobilismo e polemichette, le poche cose decise dal governo si concluderanno in ritardo (come i famigerati banchi), mentre il resto è affidato al buonsenso sanitario di cui si parla da marzo: cos’ha fatto per sei mesi la ministra Azzolina?

(foto: Nicolò Campo/Sipa Usa)

L’autonomia scolastica rende complesso capire a che punto siano davvero le scuole italiane in vista della riapertura di domani mattina (sì, il 14 settembre è domani mattina). Per questo, da mesi, la comunicazione di quella che per il governo è finalmente diventata la priorità ruota intorno alle dichiarazioni della ministra Lucia Azzolina, alle polemiche di turno (il creativo “metro dinamico”, i fantascientifici banchi con le rotelle) e poco altro. Con qualche testimonianza raccolta qui e lì, qualche preside che denuncia, professori con metro e cazzuola in mano, aneddoti e storie dal paese che non riescono a darci la risposta che aspettiamo: siamo pronti a ricominciare in sicurezza?

Verrebbe da rispondere sia no che sì. No perché a quanto sembra di capire seguendo passo dopo passo le vicende di questi mesi, a parte la disperata ricerca di nuovi spazi e un po’ di ristrutturazioni, nulla di sostanziale è stato fatto. E forse non c’era alternativa: non è un ministro che recupera in pochi mesi di pandemia tutto quello che è a lungo mancato. Se i governi di destra consideravano gli insegnanti una base della sinistra da penalizzare e da cui raccogliere pochi voti, quelli di centrosinistra per troppo tempo hanno dato per scontato il consenso di quella stessa base, assumendo che avrebbe incassato tagli e disinteresse senza troppe conseguenze alle urne. Il risultato è che se nel 2009 spendevamo 72 miliardi di euro per l’istruzione, otto anni dopo – nel 2017 – ne impiegavamo 6 di meno. E in rapporto al Pil sempre nel 2017 l’Italia ha investito il 7,9% della spesa pubblica, ultimo stato dell’Ue in classifica. Oggi ne paghiamo le conseguenze con istituti vecchi (solo il 36% delle strutture scolastiche è stato costruito dopo il 1976, cioè ha già 44 anni di servizio alle spalle), otto strutture su dieci fuori norma e una diffusa insofferenza per i mestieri intellettuali.

Eppure alla domanda che non fa dormire milioni di genitori bisognerebbe rispondere anche sì, perché il Comitato tecnico-scientifico assicura che per la ripresa basta il metro di distanza e le mascherine, oltre all’igiene e all’isolamento tempestivo dell’alunno eventualmente sintomatico. Viene da chiedersi, allora, come mai non si sia ripreso a giugno. Se quanto gli scienziati e il Miur sono stati in grado di partorire in sei mesi non si discosta più di tanto dalle indicazioni di base rivolte a tutta la popolazione e a ogni genere di attività, con le dovute differenze, perché la macchina scolastica non è stata rimessa in moto prima? Mancavano forse i 170mila litri di gel igienizzante con cui Domenico Arcuri intende sanificare quotidianamente le aule? Perché questo disperato lavoro di reperimento di spazi – parrocchie, teatri, oratori, biblioteche, fiere e chissà quale porcheria salterà fuori – non è stato avviato immediatamente?

La domanda è questa: cos’ha fatto esattamente in questi mesi la ministra Azzolina oltre a presenziare settimanalmente a qualche programma tv? Sei mesi per partorire pareri e linee guida, per giunta ancora non ufficiali, che ricalcano il buon senso e poco altro, nulla di clamoroso, risolutivo o rivoluzionario. Allora perché non implementare subito le misure di base, accelerare il reperimento degli spazi, confrontandosi senza lagne con l’enorme ostacolo della misera dotazione infrastrutturale? Si sapeva fin da subito con chiarezza che la situazione non avrebbe potuto essere uniforme. E non lo sarà se non dopo un programma completamente rifondativo dell’edilizia scolastica (chi scrive ha trascorso un anno del liceo in un istituto costruito negli anni Settanta e i rimanenti quattro in un vecchio condominio con ristorante di pesce annesso, riadattato anno dopo anno a istituto superiore. Chi scrive ha concluso il liceo nel 2001).

Abbiamo dunque fatto finta di non conoscere i nostri limiti per usarli dopo qualche mese come ennesima giustificazione, nel frattempo rimanendo più o meno fermi: non lo sapevamo, prima, che ci sarebbero serviti tanti banchi singoli per tenere gli alunni distanti e che forse valeva la pena cominciare a procurarseli (pure quelli arriveranno in ritardo, ha detto Arcuri)? Ci siamo spremuti le meningi per scovare il metodo magico per riportare a scuola i ragazzi, e alla fine abbiamo concluso che serve stare a distanza e se non si può chiedere un locale al parroco o un capannone all’amministratore della fiera locale, lavarsi le mani, indossare la mascherina e isolare chi sta male. Meglio tardi che mai: ma un bel pezzo di danno educativo è già fatto.

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[Fonte Wired.it]