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sabato, Gen 30

Se questo è amore è la storia, vera e incredibile, della passione ad Auschwitz tra un soldato delle Ss e un’ebrea



Da Wired.it :

Una donna e un uomo si innamorano all’interno del campo di concentramento più noto pur stando agli opposti della barricata. È il cuore del documentario della regista israeliana Maya Sarfaty, che ha fatto un lavoro d’archivio eccezionale

Inizia tutto con una foto, quella di Helena Citron, prigioniera ad Auschwitz con pigiama a righe e foulard in testa come tutte. Solo che nello scatto è sola, in una giornata di sole, sorridente e ben pasciuta. È un’immagine stranissima, molto lontana da quello a cui siamo abituati quando si parla di Olocausto. Ed è ancora più strana se si considera che ad averla scattata è un soldato delle Ss, Franz Wunsch. Se non fosse per la divisa da prigioniera si direbbe che Helena è in vacanza. Da qui parte Se questo è amore, documentario appena distribuito da Wanted, che racconta l’incredibile storia di una donna e di un uomo che si innamorano all’interno del campo di concentramento più noto pur stando agli opposti della barricata.

Helena era arrivata lì come tutte le altre ebree e faceva la stessa vita atroce, fino a che nel giorno del 22esimo compleanno di Franz i suoi compagni decidono di obbligare alcune prigioniere a organizzare una specie di festa. Tra le varie idee c’è quella di far cantare Helena. L’esibizione fa scoccare la scintilla. Lui si innamora di lei. Inizia uno strano corteggiamento, iniziano gli incontri e ovviamente i favoritismi. Negli anni che Helena passa ad Auschwitz Franz fa di tutto non solo per salvarla, ma anche per farla stare bene, cosa che si riflette con intensità minore anche sulle amiche di lei.

A dirigere Se questo è amore è Maya Sarfaty, regista israeliana che per metterlo in piedi ha fatto un lavoro d’archivio eccezionale. Appoggiandosi alla Fondazione Shoah (nel cui board c’è anche Steven Spielberg) ha recuperato una grandissima quantità di interviste passate fatte sia alla protagonista Helena Citron sia alle compagne di campo, compreso un video del 2003 in cui viene interpellato anche un vecchissimo Franz Wunsch in una residenza di campagna. A questi documenti Sarfaty affianca interviste moderne fatte alle poche sopravvissute ancora in vita e infine una serie di diorami di carta che ricostruiscono alcuni eventi con semplicità. La scelta è molto intelligente, usare attori sarebbe stato ridicolo, e lasciare il racconto alle sole parole in certi casi fuorviante; invece quei diorami con le sagome dei capannoni, dei soldati e di Helena e Franz si sposano bene con la foto da cui tutto parte e aggiungono uno strato mitologico a una storia che è di per sé a metà tra plausibile e incredibile.

Franz aiuta Helena quando lei si ammala, la nasconde e le consente di riprendersi senza essere vista (sarebbe stata immediatamente eliminata). Riesce anche a renderle la permanenza meno pesante: la sposta infatti nel reparto Kanada del campo, quello più tranquillo e meno duro in cui vengono smistati gli averi e gli abiti delle persone appena arrivate e destinate alle “docce”. È tutto atroce ovviamente, ma una situazione paradossalmente migliore di quella fatta di violenza e dolore fisico che subiscono le prigioniere negli altri reparti. Secondo le opinioni di tutte le coinvolte, Franz però non era diverso dagli altri soldati delle Ss quando si trattava di avere a che fare con gli uomini: la violenza era la stessa; solo con Helena e il suo piccolo circolo di amiche era differente.

Non è mai spiegato né precisato da nessuno quanto la storia tra Helena e Franz fosse platonica o meno. La parte migliore del documentario, però, è quella in cui vengono esplorate le conseguenze per Helena. Nel mondo delle prigioniere è odiata e amata: amata perché tutto questo porta un po’ di benefici anche alle altre, odiata perché ha un privilegio che loro non hanno: lei non morirà. Quando nel campo arriva la sorella con la famiglia, la situazione si fa ancora più tesa. Helena, stando nel reparto Kanada, scopre subito che il marito e figli devono essere mandati nelle docce, fa chiamare Franz che blocca tutto con una scusa e salva il compagno, ma non i figli, che vengono uccisi. Nessuno ha il coraggio di dirlo alla sorella, le viene raccontato che i bambini sono in un altro reparto. Lo scoprirà solo mesi dopo. In un’intervista televisiva alle due Citron, realizzata decenni dopo, la minore mostrerà ancora risentimento verso Helena per quell’evento.

Finita la guerra, liberati ebrei ed ebree, i due si separano. Helena va a vivere a Tel Aviv, scelta raccontata come coraggiosa proprio perché lei (per i privilegi e per aver fraternizzato con il nemico) non è vista di buon occhio. Franz le scrive a lungo per non perderla, ma la donna non risponderà mai. Solo quando a contattarla decenni dopo sarà la moglie di Franz, risponderà: l’ex amante proibito è sotto processo e serve tutto l’aiuto possibile perché non sia condannato, così a Helena viene chiesto di testimoniare su come l’abbia aiutata quando era malata. Salvare un soldato delle Ss come gli altri solo perché è stato gentile con lei o non presentarsi per non aiutare qualcuno che, al di fuori della loro storia, ha fatto molto male? Anche qui Se questo è amore dimostra che, al di là di una storia incredibile da raccontare, bisogna sapere quali sono le domande giuste da fare e da farsi.

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[Fonte Wired.it]