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giovedì, Apr 15

Se si riaprono gli stadi per le partite allora si faccia lo stesso per i concerti



Da Wired.it :

Calcio e sempre calcio: in Italia pare l’unico sport e il solo business su cui si possa ragionare in termini di riapertura. Perché non fare lo stesso per gli sport minori e gli eventi culturali?

Alla fine l’Italia avrà il suo campionato europeo di calcio. Dopo le titubanze dei giorni scorsi, con tanto di ricatto dell’Uefa che avrebbe cercato altri paesi in caso di no italiano al pubblico negli stadi, il governo nostrano ha dato conferma definitiva a riempire l’Olimpico di Roma con circa 17mila tifosi a giugno per le tre partite del girone più un quarto di finale. Una buona notizia, la visione di una parvenza di normalità in fondo al tunnel ma anche la sensazione che ci sia una qualche forma di pianificazione del futuro in un paese che sembra vivere alla giornata. Il bicchiere però è mezzo vuoto, perché mentre si annuncia l’apertura degli stadi c’è tutto un mondo della cultura, in ginocchio da oltre un anno, che continua a essere ignorato.

calcio
(Foto: pixabay)

Nei prossimi due mesi si lavorerà per mettere in sicurezza il pubblico dello stadio Olimpico di Roma. Tutto ruoterà intorno alla tecnologia e all’intelligenza artificiale, un vecchio pallino della politica nostrana che non vuole lasciarsi scappare l’occasione per forme di sperimentazione che vengono da lontano, tra sistemi di riconoscimento facciale, corridoi fatti di termoscanner e QR code personalizzati che mostreranno una sorta di patentino sanitario. Durante le partite, poi, ci sarà l’obbligo di restare distanziati alcuni posti l’uno dall’altro, oltre che di indossare la mascherina. Lo sport con il pubblico si appresta dunque a ripartire, ma appare come un’oasi nel deserto di un’industria dell’intrattenimento che per il resto, al momento, non ha alcuna certezza. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, si è fatto sentire: “Ho chiesto che, nel caso in cui si dovessero autorizzare eventi sportivi con pubblico, le stesse regole dovrebbero riguardare i concerti e gli spettacoli“. Un appello condiviso dagli altri addetti al settore, che hanno denunciato la differenza di trattamento tra il precario mondo dello spettacolo ormai allo stremo e la multimilionaria industria calcistica che sembra godere di una corsia preferenziale.

Firma Action Plan progetto Pompei
(Foto AP/LaPresse)

Come ha sottolineato alla fine del 2020 Federculture, a causa della pandemia il 90% delle imprese culturali associate ha dovuto bloccare almeno in parte le proprie attività, mentre l’Istat ha stimato un calo in doppia cifra delle posizioni lavorative da dipendente nel settore culturale, a cui si aggiunge l’enorme platea dei lavoratori autonomi che ancor di più sono stati colpiti dalla crisi del settore. Tutto questo ha fatto crollare gli introiti dell’industria e molte realtà hanno dovuto abbassare definitivamente le saracinesche, impossibilitate ad andare avanti. Al danno poi si è aggiunta la beffa di riaperture cronicamente annunciate, ma che non si sono mai concretizzate: l’ultima data doveva essere il 27 marzo, poi è decaduta senza che si sia imposta una nuova scadenza del lockdown culturale

Di fronte a questa situazione è comprensibile la rabbia di chi vede un doppio standard nelle scelte del governo, dove il dossier delle riaperture ha tra i parametri più decisivi ciò che ci sta dietro a quelle stesse riaperture, con il calcio che diventa priorità e tutto il resto, sport minori compresi, contorno. Le federazioni di basket e volley si sono lamentate del fatto che di pubblico si stia parlando solo per il calcio – tra l’altro sembrerebbe che già da maggio si potrà tornare al vecchio format dei mille tifosi per la Serie A – mentre nel loro caso nemmeno è stato aperto un confronto. E le associazioni degli spettacoli si chiedono perché 17mila persone in uno stadio per una partita vanno bene e le stesse 17mila persone nello stesso stadio per un concerto no. Per non parlare poi dei tanti eventi culturali che si organizzano in parchi, cortili, spiagge e altri spazi durante l’estate, dove il distanziamento sociale può essere assicurato per un virus che ha dimostrato di essere poco aggressivo nella sua circolazione all’aperto.

L’apertura dell’Olimpico per gli Europei non è il problema, al contrario è una buona notizia che può anche fare da test per i mesi a seguire e il progressivo ritorno alla normalità. Il dossier delle riaperture non deve però trasformarsi in una competizione tra macrointeressi economici e piccole realtà abbandonate a sé, perché il settore della cultura e dell’intrattenimento da troppo tempo vive nelle sabbie mobili dell’incertezza, senza reali prospettive di ripartenza. La decisione sugli stadi deve allora essere l’assist per cominciare a realizzare protocolli, scalette e quant’altro che consentano anche ad altri di ripartire a breve, quanto meno nella loro versione outdoor. Aprire i cancelli degli stadi a migliaia di persone ma tenere ancora fermo tutto il resto sarebbe una scelta poco credibile.

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[Fonte Wired.it]