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sabato, Set 14

Secondo l’Onu la Libia è corresponsabile del traffico di migranti


Un rapporto delle Nazioni Unite delinea un meccanismo criminale messo in piedi da guardia costiera libica, trafficanti e pezzi dello stato africano. Da oggi far finta di niente sarà un po’ più difficile

Foto di Benjamin Lowy/Getty Images

Uomini e donne intercettati in mare solo per essere condotti in centri di detenzione non ufficiali, dove saranno torturati, posti in schiavitù, stuprati e infine rivenduti ai trafficanti, da funzionari del governo corrotti e senza scrupoli. A puntare il dito contro le autorità libiche questa volta non è un organizzazione umanitaria, ma un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite, redatto servendosi delle testimonianze delle agenzie inviate sul campo a Tripoli.

Quello della presunta compromissione di alcuni pezzi dell’entità statale libica è un tema centrale per giudicare il modo in cui l’Italia e l’Europa hanno gestito il dossier immigrazione negli ultimi anni, in particolar modo dopo il memorandum d’intesa per il “contrasto dell’immigrazione illegale” firmato nel 2017 dal governo Gentiloni, che ha elargito al paese africano finanziamenti ed equipaggiamenti dal valore complessivo di 800 milioni di euro.

Cosa dice il dossier dell’Onu

Nelle 17 pagine del documento consegnato dall’Onu al Tribunale internazionale dell’Aja e raccontato in Italia da Nello Scavo per Avvenire, viene descritto un meccanismo criminale, già più volte denunciato dalle organizzazioni umanitarie.

Al centro dei riflettori c’è ancora una volta l’operato dell cosiddetta guardia costiera libica, una forza di sicurezza che l’Italia riconosce come l’organismo deputato a pattugliare l’area Sar che si estende da Zuara a Tobruch, ma che di fatto è composta da milizie armate aggressive e spesso in conflitto tra loro. È questa entità dai confini indefiniti che si occupa delle “intercettazioni in mare”, come le definisce il rapporto, presentate come operazioni di salvataggio agli occhi dell’opinione pubblica internazionale.

Già nel 2017 l’Onu aveva evidenziato la problematicità dell’azione dei guardacoste, in un rapporto in cui ne denunciava il coinvolgimento “in gravi violazioni dei diritti umani”. Questa volta, però, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres alza il tiro e descrive quello somiglia ad un vero e proprio cartello criminale, responsabile della scomparsa di centinaia di persone. Uomini e donne, di cui si perdono ufficialmente le tracce una volta sbarcati a terra e che finirebbero prigionieri in centri di detenzione al limite della legalità.

Sul territorio libico esistono infatti 19 centri gestiti direttamente dal governo libico – appena tre di questi accessibili da Onu, Oim e organizzazioni umanitarie – che ospitano in totale quasi 5mila rifugiati, ma il numero di prigioni ufficiose è ben più alto. È in questi ultimi luoghi di detenzione che le persone strappate al mare, stando al rapporto, subirebbero atroci violazioni dei diritti umani: l’Unsmil, la missione Onu a Tripoli, ha raccolto testimonianze credibili “di detenzione prolungata e arbitraria, torture, sparizioni forzate, cattive condizioni di detenzione, negligenza medica e rifiuto di visite da parte di famiglie e avvocati da parte di i responsabili delle carceri e di altri luoghi di privazione della libertà”.

Ancora una volta, però, sono le donne le vittime più esposte e dai resoconti di donne e ragazze migranti emerge un quadro fatto di violenze e abusi, perpetrati da “trafficanti, membri di gruppi armati e funzionari”. C’è infine l’ultimo livello, quello che coinvolge veri e propri pezzi dello stato libico, disposti a usare quelle persone ormai scomparse dai radar come merce di scambio, da vendere ai contrabbandieri di esseri umani.

Cosa sta facendo la comunità internazionale

Non è la prima volta che le Nazioni Unite assumono una posizione forte contro il sistema di gestione delle persone migranti sul territorio libico e già nel 2018 l’organizzazione intergovernativa parlò di “orrori inimmaginabili”, nel commentare la situazione carceraria del paese. Per questo, lo scorso 27 luglio l’Onu ha chiesto la chiusura di tutti i centri di detenzione in Libia, un appello rimasto fin qui inascoltato.

Proprio per monitorare la situazione nel paese, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha nei giorni scorsi esteso di 12 mesi il mandato della missione Unsmil, mentre l’Unhcr nella giornata di venerdì ha evacuato dalla Libia 98 rifugiati, messi in pericolo dal conflitto che continua a infuriare alle porte di Tripoli.

È in questo scenario che si misurerà il peso internazionale del neonato governo di coalizione tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, con il ministro degli Esteri Luigi Di Maio prossimamente impegnato al tavolo dell’assemblea Onu, dove l’Italia dovrà decidere una volta per tutte che posizione assumere nei confronti dei dirimpettai libici, fino a oggi ufficialmente considerati come un porto sicuro per l’approdo di migranti.

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