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martedì, Set 24

Secondo l’Unione europea, Google non dove garantire il diritto all’oblio in tutto il mondo


Con una sentenza della Corte di giustizia europea Google incassa il via libera a continuare a rendere accessibili nel mondo i contenuti tutelati in Europa dal diritto all’oblio. Nonostante internet non ammetta confini, non vale quindi l’extraterritorialità del diritto ad essere dimenticati.

Google (foto: Olly Curtis/Future via Getty Images)

La Corte di giustizia europea ha stabilito che Google ha l’obbligo di applicare il diritto all’oblio in Europa ma non a livello globale. Con la sentenza del 24 settembre i giudici del Lussemburgo mettono fine a un contenzioso iniziato nel 2016, quando la Commission nationale de l’informatique et des liberté, l’autorità francese per la privacy, aveva chiesto al colosso di Mountain View il pagamento di una multa da 100mila euro per non aver cancellato anche nel resto del mondo i contenuti che in Europa sono tutelati dal diritto all’oblio.

La parola sulla deindicizzazione dei contenuti a livello globale era poi passata alla Corte europea, la quale ha stabilito oggi che Google ha il dovere di rispettare quella norma soltanto entro i confini comunitari, dove la legge è in vigore dal 2014, mentre può lasciare accessibili gli stessi contenuti in altre parti del mondo. La stessa norma è anche stata inserita nel recente Regolamento generale sulla protezione dei dati (Gdpr) adottato dalla Comunità europea dal maggio 2018.

In definitiva, la Corte afferma che “la legge Ue richiede a un motore di svolgere questa de-indicizzazione sulle versioni del motore di ricerca che corrispondono a tutti gli stati membri della Ue”, ma al di fuori dai confini di giurisdizione essa non può essere applicata. Secondo i giudici europei non c’è quindi una extraterritorialità della legge per quanto riguarda nello specifico il diritto all’oblio.

Sebbene questa decisione segni una parziale vittoria per Google, che dal canto suo può continuare a garantire ai suoi utenti la più ampia libertà di ricerca, anche se fuori dai confini dell’Unione europea, la sentenza rende evidente un limite intrinseco del diritto attuale in un orizzonte in cui le tecnologie ci hanno ormai abituati a ragionare in termini globali.

“La sentenza di oggi della Corte di Giustizia ci ricorda ancora una volta quanto le armi del diritto possano risultare spuntate rispetto al carattere transnazionale di Internet. L’identità del soggetto è frammentata e riceve una tutela necessariamente parziale perché se internet è globale, il diritto è necessariamente ancorato alle autorità statali o, nel caso europeo, comunitarie. La Corte, pur sottolineando che una deindicizzazione mondiale sarebbe idonea a conseguire pienamente l’obiettivo di protezione dell’individuo rispetto alla sua identità personale, non può che prendere atto che ciò non è consentito dal diritto dell’Unione” commenta a Wired.it Marco Scialdone, docente di diritto e mercati dei contenuti e servizi online all’Università Europea di Roma.

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