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mercoledì, Dic 11

Segre, la marcia dei 600 sindaci e un paese che si sta disintossicando dall’odio


I Fridays for Future, le “sardine” che puntano a Roma, la mobilitazione dei primi cittadini per la senatrice finita sotto scorta: un’altra Italia inizia a riprendersi da troppi mesi di veleno

(Foto: LaPresse/Mourad Balti Touati)

Dopo un anno di cose inascoltabili, di urla senza senso, di tossicità ai massimi livelli, di speculazione a tutto spiano – a partire dai comizi rognosi di Matteo Salvini, che certo non sono finiti ma a cui i media danno finalmente meno copertura rispetto all’incessante battage del governo gialloverde – di marce fasciste e proteste xenofobe nelle periferie ai danni degli ultimi e dei più fragili, panini schiacciati e reporter minacciati e picchiati, negli ultimi tempi qualcosa si è riacceso, in Italia. Nel territorio, nelle case con le luci accese la sera dove le persone per bene hanno a cuore il destino di tutti, nelle piazze dei ragazzini ispirati dal carisma di Greta Thunberg, in modo senz’altro più spontaneo che con quelle dinamiche organizzate tipiche del sovranismo digitale.

Le “sardine”, prima di tutto. Con 35mila persone ieri a Torino, l’appuntamento di Roma per sabato prossimo che punta a 100mila (nonostante qualche scivolone proprio sui neofascisti di CasaPound): qualsiasi cosa se ne pensi, perfino in quel vuoto di contenuti in cui nuota il movimento nato in Emilia-Romagna ha battuto un colpo su metodi, linguaggio, rispetto. Stand up, please. Alziamoci e col sorriso in faccia diciamo anche basta. Non è sufficiente, certo, ma dopo oltre un anno di veleno e una campagna elettorale permanente, di leader che si riempiono la bocca di parole ostili senza assumersene mezza responsabilità, sono segnali più che confortanti. 

Ieri, da Milano, di segnale ne è arrivato un altro. Quello di 600 sindaci di tutto il paese e di ogni partito che hanno marciato al fianco di Liliana Segre. Fate mente locale, perché altrimenti non si riesce a cogliere la gravità della situazione: una senatrice a vita 89enne reduce dal campo di concentramento di Auschwitz, massimo esempio di moralità e modello assoluto per tutti, è stata messa sotto scorta. Contro di lei negli ultimi tempi si è messa in moto la solita macchina del fango antisemita, sui social ma con le usuali sponde istituzionali. Ed evidentemente dev’esserci stato dell’altro, se la prefettura di Milano ha preso una decisione fondamentale ma che, diciamocelo, ci umilia come paese.

Bene, se servivano gli anticorpi ne abbiamo avuto prova: veder sfilare i rappresentanti di milioni di italiani, capitanati da Beppe Sala, come “scorta civica” alla senatrice è stato un sollievo. A loro si sono uniti tantissimi cittadini. Un collante, in fondo, rimane: quella manifestazione è la prova che a un certo punto bisogna uscire dai social network, finirla con le solidarietà a chiacchiere o gli anatemi strappa-like e fare qualcosa, anche di semplice, senza bandierine. Tantissimi sindaci l’hanno fatto, e con loro l’abbiamo fatto tutti noi.Basta odio, parliamo d’amore” ha detto Segre. Basta tweet e post, meglio una boccata d’aria, riprendersi i luoghi, schierarsi per ciò per cui, in fondo, non dovrebbe neanche essere necessario schierarsi.

Eppure qualche assenza c’era, le aree grigie rimangono: viene per esempio da chiedersi perché non ci fosse Virginia Raggi, che ogni volta perde l’occasione per affiancarsi all’esempio di Milano e di stringersi a un sindaco che è riferimento nel paese, altro che la Milano “che non restituisce nulla”? Perché la maggioranza dei primi cittadini, dicono le cronache, appartenevano a movimenti civici, di centrosinistra o di centro? E perché, nel 2019, ci serve ancora una manifestazione simile, che rimarchi i principi fondativi della repubblica?

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