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venerdì, Nov 15

Senza Sangue, l’adattamento di Faraci e Ripoli del romanzo di Baricco


Una donna con un passato orribile, una guerra lontana che ancora fa sentire i suoi strascichi, un racconto dell’autore di Novecento che diventa fumetto e acquista qualcosa di ineffabile

Senza Sangue è un romanzo breve di Baricco del 2002, 90 pagine separate in due parti ben distinte. Il contesto è un paese sudamericano non ben definito, c’è stata una guerra civile e adesso i vincitori si rifanno sui vinti. Tra quest’ultimi c’è Manuel Roca, dottore con un passato di esperimenti orribili, che vive isolato dal mondo con un figlio e una figlia, finché non lo trovano. Anni dopo sua figlia, Nina, andrà a cercare una delle persone che hanno fatto parte del raid contro la fattoria per una chiudere una storia che contiene al suo interno molte altre storie.
Senza Sangue è un racconto che fino all’ultimo secondo pare privo di pietà, una di quelle storie in cui sembra non esserci spazio per altro che per la terribile essenza malvagia dell’essere umano e per la sua capacità di resistere ad anni di vita orribile, fino a un finale che rimette tutto in prospettiva.

Era già stato reso un fumetto in bianco e nero tempo fa, ma questa nuova edizione a colori è a tutti gli effetti una ulteriore revisione da parte di Tito Faraci, che in passato a già lavorato con Baricco quando ha adattato Novecento per Topolino, e Francesco Ripoli.
Partiamo dal tratto, Ripoli usa linee sottili, intricate, alternate a un sapiente uso dell’ombreggiatura. Questi due elementi si alternano e si equilibrano per donare al disegno dinamicità, dettaglio e calma in base al loro utilizzo. Nei momenti più concitati, soprattutto nella prima parte, sono le linee nette a dominare, mentre nella seconda, quella del dialogo e dei ricordi, lasciano spazio alle sfumature.
La gamma cromatica fatta di beige, grigi e marroni ci restituisce invece un certo grado di nostalgia, come se stessimo vedendo vecchie foto virate al seppia, ma anche il calore di un paese senza tempo a metà tra gli sconvolgimenti sudamericani e una guerra civile spagnola immaginaria in cui il franchismo è stato sconfitto. Rispetto alle tavole in bianco e nero del passato il colore si rivela fondamentale, soprattutto per la decodifica cromatica di alcun flashback, identificati da verde che vira verso il petrolio.

Tutto questo ovviamente si basa su una sceneggiatura di Faraci che, consapevole del fatto che adattare non vuol dire ricalcare, si prende alcuni spazi, soprattutto nei flashback, inserendo dettagli, ampliando il vissuto di Nina e creando una memoria frammentata di racconti e verità attraverso i ricordi difformi dei due personaggi.

Un errore comune di quando un fumetto diventa libro è il restare ancorati alla parola scritta, ad ampi spazi di testo che completano il disegno, come una ingombrante eredità del supporto originale. Faraci invece sceglie spesso la via del silenzio, soprattutto nella parte dello scontro a fuoco iniziale, che è in gran parte sua. Decide di affidarsi alle espressioni, a un uso forte dei primi piani, ai gesti più che alla spiegazione letterale. Nella parte iniziale si rivede la sua capacità di gestire la grammatica del western con alcune inquadrature degne di una storia di cowboy crepuscolari. Verso la fine inserisce il tutto in un conteso quasi sognante, con ballerini di tango che incorniciano il confronto finale.

Il risultato è un fumetto che non perde un grammo di incisività rispetto al racconto, anzi, attraverso le espressioni, i corpi e il tratto si ha la sensazione di aver guadagnato qualcosa, che ovviamente viene barattato con ciò che immaginiamo durante la lettura. Un storia di dolore, vendetta, traumi, esistenze crudeli e del bisogno di trovare comunque un senso, una gentilezza che ci salvi, nonostante tutto.

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