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mercoledì, Ott 14

Sfida al presidente – The Comey Rule, la tv non sa ancora raccontare Donald Trump



Da Wired.it :

La miniserie in onda su Sky soffre dello stessa prospettiva pregiudizievole che i media riservano al presidente Usa, spesso facendo il gioco di quest’ultimo. Ne esce un racconto di bene contro male assai prevedibile

Tutti quanti abbiamo un’opinione sul governo Trump, molto netta. Hollywood ha un’opinione sul governo Trump, molto netta. Eppure l’impressione lo stesso è che quando un film, o come in questo caso una miniserie in due parti, voglia farsi interprete diretta di quell’opinone i risultati siano sempre fallimentari. Questo avviene perché consciamente o meno, quello che chiediamo all’audiovisivo, siano film o serie, non è tanto di rappresentare quel che già sappiamo ma di sfidare le convinzioni che possediamo, foss’anche di poco, mettendole alla prova con qualcosa di nuovo, audace e complesso. E abbiamo cominciato a chiederlo sempre di più proprio alla televisione, che ha dimostrato di poterlo fare anche meglio del cinema.

Per questo è irricevibile Sfida al presidente – The Comey Rule, miniserie in onda il 12 e il 13 ottobre su Sky Atlantic (po disponibile on demand o in streaming), che si bea della condanna senza appello di Trump, che lo fa con tutte le carte in regola e lavorando su tutto ciò che è stato provato essere vero e su quello che sappiamo essere sbagliato dell’amministrazione Trump, ma con una prosopopea impensabile. La storia è sostanzialmente quella di Jim Comey, capo dell’FBI che indagò sullo scandalo delle email che costò la presidenza a Hillary Clinton e che, nonostante non tifasse per Trump, per far bene il suo lavoro finì a fargli un favore. Trump lo considerò inizialmente uno dei suoi fedelissimi, mettendolo in contatto con la rete che aveva intessuto con la Russia, salvo poi scaricarlo una volta compreso che non era un fedelissimo. È insomma la storia di Comey contro Trump, presa dal libro scritto dallo stesso Jim Comey. Una fonte non propriamente imparziale.

Tutta la serie è una glorificazione della schiena dritta di questo ex direttore dell’FBI interpretato da Jeff Daniels, sia a parole che con le immagini. Per esempio nella scena dell’insediamento vediamo prima la silhouette di Trump pronto a giurare e poi con uno stacco a raffronto la silhouette di Obama a capo chino nello studio ovale, disperato con sopra di sé una luce della provvidenza. Un montaggio assassino che ci imbocca convinto di aver gioco facile nel dire quel che in molti pensano. È un buon simbolo di una miniserie così obnubilata dal piacere della condanna e di fare del nemico uno spauracchio che non teme di far dire ad un collaboratore di Trump come il suo unico interesse sia “Perfidia. Perfidia. Perfidia”. Come fosse un villain di un fumetto.

Nel fare di Donald Trump un clown servo del male, The Comey Rule finisce ben presto per relegare i fatti e la trama a puro pretesto e quando nella seconda parte entra in gioco Brendan Gleeson (nei panni di Trump stesso) la macchietta ha subito la meglio. Il risultato è che la miniserie ha pochissimo da dire su Jim Comey, se non mostrare quanto abbia agito in buona fede, se non fargli un santino a partire dal suo stesso libro. Lui che fu per un certo periodo il nemico pubblico n.1 d’America, responsabile della sconfitta di Hillary, va assolto perché rispettò le regole e fu fedele alle istituzioni che rappresentava. Il mostro è Trump. Il resto sono dettagli. Peccato che non è così, il resto non sono dettagli, e se ha un senso raccontare gli intrighi politici da vicino, con personaggi reali, sta nel capire meglio come tutto sia andato in una direzione e non assolvere e condannare.

Con un’insopportabile ripetitività a Comey viene fatto dire di continuo di non voler interferire mai con la politica, lo si trasforma in una lista umana di tutte le buone regole e pratiche che tengono separati FBI e governo, principi detti e ridetti in dialoghi tra persone che già le sanno, solo per mostrare agli spettatori l’impeccabile onestà del protagonista. Peccato che non dovrebbe essere lui stesso, con il suo libro, ad affermarla ma semmai qualcun altro.

Con questo carico fastidioso di sentimentalismo parziale e un conflitto d’interessi non da poco tra protagonista e narratore della storia (per l’appunto la stessa persona), l’unica impressione che si ricava dalla visione di The Comey Rule è che mettere contrapposti buoni e cattivi, o persone ligie alle regole e chi non le rispetta, è proprio la maniera migliore per far disamorare chi non è già più che convinto e radicalizzare chi invece non è d’accordo. Ma le serie tv non erano invece il posto del dubbio? Non erano quella forma di produzione che sfida lo spettatore, che gli presenta antieroi, che gli consente di vedere il mondo da un altro punto di vista e che ci migliora tramite il confronto?

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[Fonte Wired.it]