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giovedì, Feb 06

Siamo tutti lo storico abbonato Rai a Sanremo



Da Wired :

Interrogato da Amadeus all’Ariston, l’86enne Roberto Poluzzi si è limitato a dire “si è pagato una volta e si è continuato a pagare”. Parlava del canone, ma è anche ciò che facciamo noi seguendo la kermesse sanremese, un carrozzone che funziona proprio perché non funziona

Roberto Poluzzi durante la serata dell’Ariston

A un certo punto della notte senza fine sanremese, sarà stata mezzanotte e mezza e ancora doveva cantare una buona metà dei concorrenti, Amadeus è sceso in platea e si è avvicinato a un vecchietto spiegandoci che si trattava di uno storico abbonato Rai e che questa cosa gli aveva fatto meritare il famoso posto in prima fila per tutte le serate del festival.

All’incauta provocazione del presentatore che lo svegliava dicendogli “lei è abbonato dal ‘54, complimenti” l’abbonato stesso, il signor Roberto Poluzzi di Bologna, 86 anni e la prontezza di riflessi di un partigiano richiamato alle armi, rispondeva con un candore che non riusciva a nascondere una punta di amarezza rassegnata: “Si è pagato una volta, si è continuato a pagare”.

Allora Amadeus gli ha tolto il microfono ma ormai la frittata era fatta e io avrei voluto abbracciarlo il signor Poluzzi, obbligato a presenziare a questa maratona devastante senza possibilità di scamparsi nemmeno un secondo delle circa 39 ore di diretta quotidiana (con le moderne tecnologie gli interventi a cuore aperto durano meno di una serata standard di Festival, e hanno una percentuale di vittime minore). Avrei voluto abbracciarlo per fargli capire che non era solo, anche se è facile parlare da casa mentre lì in trincea è tutta un’altra cosa, e perché quello che aveva detto lui esprimeva il senso più profondo del binge watching sanremese: si inizia guardare così e poi si continua, senza nessun motivo razionale e nonostante tutto.

Perché non è mica facile spiegare a qualcuno che avete fatto le due di notte perché non potevate perdervi l’esibizione di Zarrillo. Il quale Zarrillo, se avesse saputo che lo avrebbero fatto cantare a quell’ora, avrebbe fatto in tempo a suonare alla festa della Madonna dell’Incoronata di Savona, farsi un’ora di sonno in albergo e arrivare vispo all’Ariston senza perdere la giornata lavorativa, ché al giorno d’oggi nessuno ti regala niente e bisogna raccogliere tutto quello che arriva.

E non è nemmeno facile spiegare che in una roba che si chiama Festival della canzone italiana le canzoni non siano la cosa più importante: non lo sono evidentemente per chi le seleziona, perché non ci credo che quelle ascoltate in questi due giorni siano le cose migliori tra i settanta milioni di brani che hanno dovuto scegliere; e non lo sono per gli spettatori come noi, perché hai voglia a parlare dell’arrangiamento del pezzo di Paolo Jannacci o del tema importante della canzone di Levante quando sappiamo tutti che il punto è: oh ma Jannacci somiglia sempre di più al padre; invece Levante perché l’ha cantata stando per tutto il tempo piegata a novanta gradi come se fosse un balletto di Pina Bausch dedicato a Enrico Cuccia? E perché urlava?

Ma il Festival di Sanremo funziona proprio perché non funziona niente e meno funziona, più significa che sta funzionando: e parteggiamo per canzoni brutte che gareggiano contro altre canzoni brutte, e quando la canzone brutta che avevamo scelto perde ci rimaniamo male come se cambiasse qualcosa quando invece non cambia niente. Il tutto in una cornice spettacolare fatta di tempi sbagliati, durate offensive, superospiti che stonano perché sono emozionati ( Tiziano Ferro), superospiti che non stonano perché sono in playback (i Ricchi e poveri), superospiti che hanno l’espressione di chi pagherebbe per essere altrove (Franco dei Ricchi e poveri, il quale per questo motivo diventa l’eroe della serata, trasfigurandosi in una specie di Tommie Smith alle Olimpiadi del ’68 senza pugno alzato ma coi baffi), con trecento autori che scrivono ogni secondo dello spettacolo.

E poi arriva Fiorello e la risolve giocando a tennis con Djoikovic mentre quest’ultimo canta Terra promessa, oppure arriva Fiorello che la risolve bevendo un sorso d’acqua e poi fa la fontanella sul collo di Amadeus, oppure arriva Sabrina Salerno e la risolve mostrando il poster di Sabrina Salerno (ma solo quello perché poi non canta per evitare di accavallarsi con l’inizio di Unomattina).

Tra tutti i motivi per guardare Sanremo, quello di ascoltare qualche bella canzone, visti i pastori, è onestamente quello meno credibile. Ma non fa niente – e non lo dico con rabbia perché ci sono cose peggiori nella vita, e a cercare bene qualcosa di buono si trova sempre anche lì: alla fine Mamma Maria e Sarà perché ti amo sono sempre dei gran pezzi ed è bello che finalmente Marina Occhiena e la brunetta dei Ricchi e poveri si siano chiarite trasformando il palcoscenico di Sanremo in una nuova Camp David (anche se chissà quanto durerà).

L’unica certezza è che noi, come il signor Poluzzi, si è pagato una volta e si è continuato (e si continuerà) a pagare.

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[Fonte Wired.it]