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mercoledì, Feb 23

Snam cerca startup e idee per l’idrogeno del futuro



Da Wired.it :

Soluzioni innovative per avvicinare l’idrogeno alle esigenze della mobilità, soprattutto pesante, e dell’industria, in particolare quella “hard to abate”, difficile da decarbonizzare. Magari riducendo i costi. A vincere il premio della call di Snam per le startup sono state la francese Atawey, che sviluppa stazioni di rifornimento a idrogeno sia su piccola sia su grande scala, e la svizzera EH Group, che propone una tecnologia di celle a combustibile che si caratterizza per l’elevata efficienza e il radicale abbattimento dei costi di produzione. Per loro si aprirà un percorso di accelerazione e mentorship di sei mesi assieme alla multinazionale italiana che condurrà allo sviluppo di una prima applicazione industriale. 

Nel corso della cerimonia tenuta al Museo della scienza e della tecnica di Milano nel pomeriggio di lunedì 21 febbraio, menzione speciale per l’italiana Particular Materials, che a Padova produrrà idrogeno verde da elettrolisi attraverso una tecnologia innovativa basata sull’acqua supercritica. Sono state circa settanta le startup che hanno preso parte alla call: la selezione è stata operata dai top manager dell’azienda di San Donato Milanese, che a novembre ha inaugurato Hyaccelerator, primo acceleratore aziendale al mondo focalizzato sul primo elemento della tavola periodica.  

Vetro, acciaio, ceramica, cemento: i settori “hard to abate

L’idrogeno è l’elemento più diffuso nell’universo ed è centrale anche nella strategia energetica di Bruxelles. Una visione, quella europea, che punta decisamente sull’elettricità, ma vira sull’idrogeno in tutti i settori dove l’impiego della corrente è impossibile o sconsigliato: i cosiddetti “hard to abate”. Si tratta di comparti ben rappresentati anche in Italia, come vetro, ceramica, acciaio, cemento. Ma l’Europa guarda al vettore anche per  impieghi nel trasporto pesante su strada (camion), per quello marittimo e aereo. 

La parlamentare europea Patrizia Toia ha ribadito l’impegno di Bruxelles. Una strada, però, evidentemente ancora lunga: attualmente solo circa il 2% del mix energetico dell’Unione fa capo all’idrogeno. Di questa quota, il 95%  è prodotto a partire da fonti fossili: dal carbone (idrogeno “nero”) al metano (idrogeno “grigio”). La tavolozza si completa con l’idrogeno “viola” (ottenuto da impianti alimentati a energia nucleare) e l’idrogeno “turchese”, ricavato dal metano ma che usa il metodo della pirolisi (invece dell’elettrolisi) e dà come prodotto di scarto carbone. 

L’unico realmente sostenibile resta quello “verde”, generato, cioè, esclusivamente a partire da fonti rinnovabili. Il problema sono i costi: secondo la strategia europea, sono compresi tra 2,5 e 5,5 euro al chilo, mentre l’equivalente fossile è meno caro: solo 1,5 euro al chilo. 

Trovare il modo di risparmiare è l’obiettivo di tutti gli attori industriali coinvolti, e anche dei governi. L’ambizione degli Stati Uniti è quella di abbassare il costo a un dollaro al chilogrammo entro dieci anni. Deloitte, però, avverte che non sarà facile: in uno studio del 2021 la società di consulenza calcolava che l’idrogeno verde sarà competitivo solo con un costo dell’energia fotovoltaica attorno ai trenta euro al megawattora. E secondo le stime riportate nel rapporto, perché la precondizione si verifichi potrebbe essere necessario attendere addirittura il 2050. La caccia a soluzioni innovative lungo tutta la filiera (che comprende anche le tecnologie fotovoltaiche) è aperta. 



[Fonte Wired.it]