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martedì, Feb 09

Space Sweepers è la Cowboy Bebop coreana



Da Wired.it :

Com’è la space opera dal cast internazionale che mischia Hard Sci-fi, azione, citazionismo ed effetti speciali spettacolari con la cultura della Corea del Sud, già definita dagli americani la “Guardiani della galassia” asiatica.

Questo weekend è atterrato su Netflix Space Sweepers, il blockbuster di fantascienza coreano che a prima vista sembra una roboante americanata (e infatti, negli Usa, svetta in Top Ten). La Corea del Sud recentemente ha già manifestato il desiderio di imporsi nel panorama cinematografico anche con produzioni spettacolari più tipicamente “hollywoodiane”. Un esempio riuscito recente è Steel Rain 2 (un divertentissimo Caccia a Ottobre rosso ricco di azione critico della politica trumpiana), uno meno riuscito è Peninsula, il sequel del celebre zombie movie Train to Busan (una sorta di 1997 Fuga da New York in salsa horror senza l’originalità del precedessore).

Space Sweepers persegue lo stesso scopo, ma con risultati mirabili, declinandosi nella hard scifi pura, non lesinando sull’azione al cardiopalma, investendo un discreto budget in effetti speciali spettacolari e citando rispettosamente i classici occidentali – e non solo – del genere. È il perfetto blockbuster hollywoodiano ma con l’anima asiatica: più nostalgico, fatalista e poetico, per noi (più che il “Guardiani della galassia asiatico“, come l’hanno definita gli americani) è il Cowboy Bebop coreano.

Protagonisti sono i membri dell’equipaggio di un’astronave, la Victory, che recupera spazzatura spaziale e ne rivende i materiali riciclabili: sono il genio dell’ingegneria spaziale nonché capitano beone della nave Jang (Kim Tae-ri di Mr Sunshine), l’ex soldato d’élite ora pilota accattone Teo (Song Joong-ki, l’attore 36enne col volto da 16nne di Arthdal Chroniclees), l’androide con l’animo da uomo bicentenario Bubs (Yoo Hae-jin di Confidential Assignment) e l’ex gangster “maori” e meccanico Tiger Park. Questi quattro reietti della società cercano di sbarcare il lunario con espedienti più o meno legali dopo che la Terra è diventata quasi inabitabile e uno scienziato miliardario ultracentenario con volto (giovanile) del britannico Richard Armitage ha creato una colonia artificiale paradisiaca per pochi eletti. La svolta per la sgangherata truppa arriva quando recuperano una bimba speciale (Kotnim, soprannominata Dorothy), la chiave di volta per salvare la Terra e l’umanità, a cui buoni e cattivi danno la caccia.

Space Sweepers, (ma potremmo chiamarla anche Space Truckers per alcune evidenti analogie con il film di Stuart Gordon) come accennato, potrebbe serenamente passare per un blockbuster occidentale, anche solo per il fatto che il cast proviene da tutte le parti del mondo (le colonie sono un melting pot di razze e lingue) e ciascuno parla nella propria lingua. I ritmi sono quello da fantascienza action-packed alla Star Wars (a proposito di citazioni, c’è pure una Morte nera) e gli inseguimenti tra astronavi nello spazio vantano una regia esemplare tanto quanto i combattimenti a terra tra soldati e ribelli. Dorothy è una Baby Yoda di aspetto umano che con la propria tenerezza conquista i tipi più cinici, mentre l’equipaggio della Victory e le sue avventure da western di frontiera evocano il cult seriale di fantascienza forse più amato di sempre, Firefly, con Kim Taeri che fa il verso a Nathan Fillion e un soggetto che ricalca il film sequel della serie, Serenity.

Tuttavia, Space Sweepers non è il semplice compitino dei coreani atto a dimostrare come anche loro sappiano confezionare una space opera, la produzione attinge senza compromessi alla cultura asiatica, mettendo in scena il villain mefistofelico e macchiettistico tipico dei cartoni animati giapponesi degli anni ’70 il cui unico scopo nella vita è quello di annichilire la razza umana (ci manca solo di sentirlo strillare “Il mondo è mio!” prima di scoppiare in una risata diabolica). Molto “coreano” è anche uno dei protagonisti che sogna di modificare drasticamente il proprio aspetto affinché questo rispecchi la sua vera identità (quello di una stilosa teenager Harajuku girl): tramite questa figura, il film tocca tangenzialmente una tematica scottante in patria, quello della disforia e del ricorso eccessivo alla chirurgia estetica. Last but not least, Space Sweepers è una delle prime produzioni coreane ad avventurarsi nella hard sci-fi; lo sceneggiatore e regista Jo Sung-Hee (A Werewolf Boy), si cimenta anche con tematiche legate agli sviluppi della tecnologia, complice anche la disponibilità del budget che risparmia lo spettatore già provato da terrificanti esperienze con la Cgi asiatica (in particolare quella di fantasy e SF cinesi).

Infatti, una parte importante della trama (non approfondiamo per non spoilerarvi) e della riflessione sul futuro dell’umanità la gioca la teoria dei naniti e del legame che possono creare con gli organismi biologici, mentre una linea narrativa importante è riservata al postumanesimo e allo statuto delle intelligenze artificiali senzienti. In breve, Space Sweepers è un film di fantascienza virtualmente perfetto, l’ennesima prova dell’eccellenza della cinematografia coreana di cui abbiamo accennato. Resta solo da chiedersi come mai questo Paese abbia aspettato così tanto a conquistare anche questa branca del cinema di genere, dopo aver già dimostrato di cavarsela bene con le sue altre declinazioni (l’horror e il fantasy). La risposta è semplice.

Dopo l’immane clamore generato dalla vittoria dell’Oscar come miglior film del Parasite di Bong Joon-ho e la notizia che le serie prodotte nella Corea del Sud sono la nuova punta di diamante della piattaforma digitale, non stupisce che questo piccolo Paese colpito da una renaissance artistica (l’hallyu) ormai ventennale provasse a imporsi anche in un genere coma la fantascienza, generalmente appannaggio hollywoodiano. Il motivo per cui le case di produzione locali non hanno mai investito seriamente nel genere è ovvia, e ce l’aveva confermata Min Kyu-Dong, presidente della Corporazione dei registi coreani, produttore dell’antologia Sci-fi Sf8 (la Black Mirror asiatica) e ospite del Trieste Science+Film Festival: costano troppo. Per questo anche quando gli autori si cimentano con il genere – per esempio nei k-drama – è sempre affidandosi alla sci-fi più soft, di solito sono romcom dove il/la protagonista si innamora di un androide o di una Ai o di un ologramma che sembrano umani).

Recentemente, la Hollywood orientale si è orientata verso la fantascienza investendo budget anche esosi: oltre a Sf8, nel 2020 sono stati prodotti anche Seobok (thriller sulla clonazione, per ora inedito) e il citato Space Sweepers. Quest’ultimo sarebbe dovuto uscire, preceduto da un’imponente campagna pubblicitaria, al cinema, ma la pandemia ha persuaso la produzione ad “accontentarsi” di Netflix. Nonostante il lancio ridimensionato, resta la prova definitiva che la Corea del Sud è in grado di brillare in ogni declinazione artistica: non solo cinematografica, ma anche televisiva, musicale e letteraria.

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[Fonte Wired.it]