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martedì, Dic 03

Spotify: la musica del 2019 è urban e italiana, in crescita i podcast


Intervista alla managing director Federica Tremolada. Che dice: “Fra gli artisti più ascoltati, Ultimo, Salmo e Sfera Ebbasta. Perché rispecchiano i cambiamenti della nostra società”

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La canzone più ascoltata in streaming su Spotify nel 2019? È sempre bello di Coez, con 65 milioni di stream. Tra gli artisti più ascoltati, Ultimo, Salmo (lui al primo posto, con Machete Mixtape Mix 4 e Playlist, fra gli album più ascoltati) e Sfera Ebbasta. Fra le donne si distinguono Billie Eilish, Elisa e Alessandra Amoroso. È questa la fotografia dell’ascolto degli italiani che emerge dal bilancio 2019 in musica fatto dalla piattaforma di streaming musicale. Nel mondo i più ascoltati sono Post Malone, Billie Eilish e Ariana Grande, mentre Drake è il musicista più ascoltato nel decennio. Per decifrare meglio questi dati e cosa ci dicono sulle nostre abitudini di ascolto digitale abbiamo intervistato Federica Tremolada, managing director Southern and Eastern Europe di Spotify.

Quali sono i trend del 2019 e quali invece quelli che dobbiamo aspettarci per il 2020?
“Per noi la personalizzazione e la presentazione di contenuti che siano in linea coi gusti degli utenti sono sempre valori aggiunti importanti. Avviene una specie di democratizzazione, nel senso che si riflette ciò che veramente gli italiani vogliono ascoltare e non è un caso che ci siano così tanti artisti italiani nelle classifiche del 2019. Ma c’è anche una tendenza alla globalizzazione, intesa sia come musica che dall’estero arriva a noi sia come capacità di esportare oltre i confini Mahmood, in classifica in molti altri paesi. Infine puntiamo sull’ubiquità, essere cioè sempre più multidevice attraverso gli smart speaker e in macchina (abbiamo creato, per esempio, le playlist personalizzate Daily Drive, che mettono insieme podcast e musica). Per il 2020, invece, le parole chiave saranno podcast e ampliamento del target”.

Come intendete allargare il vostro target?
“Lo abbiamo visto con Lucio Battisti [il cui catalogo è disponibile in streaming a fine settembre, ndr]: le tradizioni raggiungono i giovani, che poi le fanno loro. Il nostro obiettivo è questo: connettere sempre nuovi pubblici alla musica. Che vuol dire anche avvicinare target più maturi alla tecnologia e ai generi che oggi rappresentano l’italianità”.

In effetti, si è parlato molto dell’arrivo del catalogo di Battisti su Spotify, che alcuni però hanno bollato come flop.
“Per noi questo lancio è andato oltre le aspettative: la playlist This Is Lucio Battisti ha avuto un successo strepitoso nel giorno stesso in cui è stata resa disponibile. Ma, a differenza di novità come il rapper Tha Supreme che entra in classifica subito, questo è un contenuto che va giudicato sul lungo periodo. Comunque, sedici dei brani di Battisti sono rientrati in classifica quella stessa settimana grazie allo streaming: sono tutti elementi che ci dicono molto dell’impatto di questo tipo di consumo sul quotidiano”.

Cosa dicono, invece, le prime posizioni delle classifiche del 2019 sugli ascolti degli italiani o più in generale sulla nostra società? Vedo, per esempio, che gli artisti più ascoltati in assoluto in Italia sono tutti maschi.
“È così! Quest’anno Billie Eilish e Ariana Grande si sono prese le classifiche internazionali; in quelle italiane vince soprattutto la musica urban, trend che in generale ha una radice prevalentemente maschile. Ma anche qui le cose stanno cambiando: le stesse Elisa e Alessandra Amoroso, che sono fra le più ascoltate, hanno fatto collaborazioni che vengono proprio da questo mondo urbano.
Noi, comunque, abbiamo già realizzato due eventi nel 2019 – l’ultimo a Linecheck – sulla valorizzazione delle donne nella musica”.

Che cos’altro ci dicono questi successi?
“Le classifiche raccontano un risultato netto a favore della musica italiana e del genere urban. Il che ci dice come la nostra stessa società stia cambiando, ricevendo gli input che vengono dalla commistione di stili e nazionalità diverse con cui ci troviamo a convivere ogni giorno. Ovviamente, tutto è partito negli Stati Uniti, dove quel tipo di società c’era già: noi iniziamo a rispecchiarla ora e questo sentore, attraverso il successo di rap e hip hop, si ha anche nelle classifiche”.

Si accennava prima ai podcast, verso cui anche voi siete sempre più interessati.
“Il trend dei podcast si è sviluppato nell’ultimo paio d’anni, anche grazie all’impegno di Spotify, che finora aveva come missione l’offerta di un business model sostenibile affinché gli utenti fruissero la musica in maniera innovativa. E ora vogliamo applicare questa modalità di ascolto vincente a tutto l’ambito audio.
Del resto, l’audio in generale si sta imponendo come uno dei consumi chiave di contenuto, in un mondo in cui siamo sempre più impegnati e vogliamo fare sempre più cose contemporaneamente, ovunque siamo”.

Qualità è senza dubbio la parola chiave di questa seconda ondata di popolarità dei podcast: avete intenzione di produrne degli originali anche in Italia?
“La crescita finora è avvenuta in modo organico: non abbiamo fatto nulla affinché tutto quel contenuto fosse caricato sulla piattaforma, ce lo siamo trovati di fronte e in qualche modo abbiamo adeguato la nostra identità, che è da sempre prettamente musicale. Abbiamo dunque applicato quello che conoscevamo bene ai podcast: creazione di playlist, organizzazione delle stesse, algoritmi e personalizzazione.
A livello locale stiamo assumendo una persona dedicata, che migliorerà la qualità dei contenuti e si occuperà anche dei prodotti originali lanciati di recente all’estero e che arriveranno anche qui”.

Avete già intuito che cosa vuole il pubblico italiano in fatto di podcast?
“Il crime funziona bene, e poi l’intrattenimento, le news, l’attualità… generi la cui crescita, da quest’estate a oggi, è davvero esponenziale e cambia in continuazione.  Forse, però, è ancora troppo presto per individuare delle tendenze precise”.

Per voi non sembrano esserci rischi di cannabilizzazione fra i podcast e l’offerta musicale: è così?
“È proprio così. Anzi, chi ascolta più podcast poi ascolta anche più musica. Risultato: rimane di più nella app”.

Un’ultima curiosità: piattaforme di streaming video come Netflix iniziano a preoccuparsi di fenomeni come le password condivise: vale anche per voi?
“I comportamenti fraudolenti sono all’ordine del giorno e si modificano man mano che cambia la tecnologia. Spotify fornisce una piattaforma che vuole essere sicura per gli utenti e remunerativa per gli artisti: abbiamo aumentato le persone dedicate alle operazioni antifrode, anche perché siamo nati con l’obiettivo di sconfiggere la pirateria. C’è un tema di educazione, dalle app craccate agli streaming fraudolenti, in cui, però, tutto il settore ci deve supportare. C’è da dire, poi, che l’esperienza che hai se non condividi la password è assolutamente diversa e meno personalizzata, mentre stiamo mettendo in atto sistemi per identificare comportamenti abusivi in maniera sempre più veloce e anche per individuare localizzazioni estranee ai pacchetti famiglia”.

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