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venerdì, Ott 01

Squid Game, i biscotti al caramello e gli altri riferimenti alla cultura coreana



Da Wired.it :

La serie del momento è una produzione coreana in cui si mette in scena uno spietato esperimento sociale. Ma sono tanti i riferimenti concreti alla cultura e alla società di un paese pieno di contraddizioni. E di occasioni virali

squid game

ATTENZIONE: spoiler sulla serie Squid Game

Ci sono molti motivi per cui un prodotto televisivo può essere definito la serie del momento, molti dei quali in genere piuttosto aleatori. Squid Game, invece, si è imposta come la serie del momento in modo  lampante. Arrivata in sordina su Netflix lo scorso 17 settembre, questa produzione coreana scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk è cresciuta nel corso delle settimane grazie a un passaparola forsennato, arrivando fra i titoli più visti in tutto il mondo (compresi gli Stati Uniti) e aggiudicandosi un 100% di approvazione su Rotten Tomatoes. Per molti sarà il successo internazionale di Netflix più eclatante del decennio, mentre la sua popolarità si fa sempre più grande anche sui social.

Un misto tra Parasite e Hunger Games, con un pizzico di horror alla Cube o alla Saw, ma anche con riferimenti chiarissimi a titoli come Battle Royale, Squid Game racconta un esperimento sociale sadico e perverso, in cui 456 persone (tutte con un passato problematico e ingenti debiti da saldare) vengono arruolati in un gioco che mette in palio 456 milioni di won (circa 33 milioni di euro). L’unica particolarità è che chi perde nelle varie manche viene eliminato fisicamente. Ne deriva una rappresentazione spietata dell’umanità e della violenza, che si sublima in una riflessione su egoismo e altruismo, il tutto immerso in una cornice visiva spesso ipnotica e coloratissima (dalle scale di Escher riviste in tinta pastello alle maschere enigmatiche dei vari carcerieri). Difficile riassumere tutti gli elementi che rendono questa serie così ipnotica e popolare, ma qui di seguito proviamo a spiegare meglio alcuni dei dettagli che più fortemente si legano alla cultura coreana nella quale questa narrazione così geniale ha preso vita.

Il gioco del calamaro

Tutto parte dal gioco del titolo, il cosiddetto “gioco del calamaro“. Noto in Corea del Sud come ojingeo o semplicemente squid, è un popolarissimo passatempo fra i bimbi di quel paese, che però come si dimostra nella serie può avere risvolti violenti. Si parte da un’area di gioco che è costituita da diverse sezioni, una rettangolare, una triangolare e una circolare più piccola (le tre forme, messe assieme, danno appunto la forma di un calamaro stilizzato e ricorrono per questo ossessivamente nella simbologia della serie). I giocatori si dividono in attaccanti (che hanno base nel cerchio) e difensori (che hanno base nel rettangolo): i primi, che nella prima parte del gioco possono muoversi solo saltellando su un piede e possono correre su due piedi solo dopo aver attraversato la linea difensiva (diventando l’”ispettore segreto“), devono raggiungere l’altra estremità del calamaro evitando che i difensori li buttino fuori dall’area di gioco. Se succede, come si dice nel gergo ludico (ma nella serie invece accade davvero), muoiono.

I biscotti al caramello

Una delle dimostrazioni più eclatanti del successo di questa serie è il suo riscontro virale sui social. In particolare, dopo il suo debutto, l’hashtag #SquidGame è stato utilizzato in oltre 14 miliardi di video su TikTok. Ad andare per la maggiore è la challenge che ripropone il secondo gioco che i protagonisti della storia devono affrontare, quando cioè devono ritagliare, senza romperla, una figura da uno strano biscotto al caramello. Gli utenti su TikTok si cimentano allo stesso modo cercando di ritagliare la formina centrale del dolcetto per vedere se sarebbero riusciti a loro volta a sopravvivere alla sfida. Per i coreani, comunque, questi dolci sono qualcosa di davvero molto ordinario: si tratta infatti dei cosiddetti Dalgona (o ppopgi in alcune regioni), specie di lecca lecca ottenuti semplicemente sciogliendo dello zucchero sul fuoco con un po’ di bicarbonato; dopo averlo steso in forma circolare, sul composto viene impressa una figura (una stella, un cuore, una casa ecc.) e i bambini coreani si divertono a leccarne i contorni cercando di non intaccare la figurina posta al centro. Pronti alla sfida?

Il numero di telefono

I concorrenti del sadico gioco, tutti variamente disperati, vengono reclutati in maniera differente. Il protagonista Seong Gi-hun, in particolare, viene fermato in metropolitana da uno strano sconosciuto (interpretato da Gong Yoo, uno degli attori più celebri e pagati di Corea) che lo sfida a giocare a ddakji, uno strano gioco che consiste nell’utilizzare un foglio di carta piegato su se stesso che, lanciato a terra, deve ribaltare quello dell’avversario (in Italia nella prima metà degli anni Novanta era divenuta popolare una variante del gioco chiamata Pog). Una volta raggirato, Gi-hun si decide a partecipare allo Squid Game dopo aver ricevuto un biglietto da visita con un numero telefonico: peccato che quella sequenza numerica non sia frutto della fantasia degli sceneggiatori ma sia un numero di telefono vero e proprio. La povera Gil-Young Kim, che vive nella città coreana di Seongju e ha quel numero da dieci anni, ha raccontato a diverse testate locali di essere tempestata da telefonate di spettatori che, incuriositi, provano a comporre il numero dopo averlo visto nel primo episodio.

I Vip

Uno degli aspetti più raccapriccianti della concezione di questo gioco malato all’interno della serie è la presenza di ricchi osservatori chiamati Vip, che giungono ad assistere di persona al massacro e scommettono su chi potrebbe sopravvivere. Sono ovviamente metafora lampante di un certo sistema capitalistico che gode nel vedere le sofferenze dei più svantaggiati ma ci sono altri aspetti che hanno colpiti gli spettatori più attenti. In sostanza molti hanno notato che gli attori che interpretano i Vip recitano malissimo e parlano un inglese davvero stentato (gli altri personaggi parlano ovviamente coreano). Ci sono due possibili spiegazioni per questo fatto. Da una parte è probabile che si sia scelto di far parlare questi personaggi in un inglese molto basico, in modo che risultasse comprensibile al pubblico coreano (in un Paese dove comunque l’inglese viene molto studiato a scuola) anche senza ricorrere ai sottotitoli. Dall’altra potrebbe essere un’ulteriore simbologia: questi Vip sono così disumanizzati (hanno infatti maschere di animale) da parlare in modo assolutamente poco naturale e, appunto, poco umano.

La società coreana

Squid Game è sicuramente un ambizioso e anche peculiare prodotto di intrattenimento. Eppure, a guardarlo con occhi più lucidi, ci dice molto sulla società coreana contemporanea. Diversi problemi economici hanno reso il tessuto sociale della Corea del Sud, un tempo una delle tigri asiatiche più prospere, molto più fragile, tanto che il protagonista Gi-hun rappresenta solo uno dei tanti 30-40enni che, perso il lavoro, finiscono ai margini della società. In particolare il creatore Dong-hyuk inserisce nella sua storia il riferimento a un fatto realmente accaduto e molto significativo su questi temi, un grande sciopero avvenuto nel 2009 quando la società Ssangyong annunciò il licenziamento di 2500 operai (in una cultura dedita al lavoro come quella coreana gli scioperi sono piuttosto inconsueti e ritenuti eccezionali). La vicenda di Cho Sang-woo, ricercato dalla polizia dopo aver defraudato i clienti dei suoi fondi d’investimenti, dice molto sulla cultura dell’onore coreana, intrinsecamente basata su successo e rispettabilità pensati come valori assoluti. Ancora la storia della giovane Kang Sae-byeok accenna ai tanti profughi dalla Corea del Nord e del business di chi lucra su queste fuoriuscite, mentre Abdul Ali è un personaggio che incarna in sostanza l’impostazione classista e razzista del privilegio coreano, dove gli immigrati del Subcontinente asiatico sono visti come forza lavoro senza da sfruttare senza alcun diritto.

Gli indizi

Al di là dei sottotesti sociali, in ogni caso, Squid Game è davvero un meccanismo ludico-narrativo tanto spietato quanto geniale. Man mano che si macinano gli episodi si entra sempre di più in un intrigo che in realtà si svolge di fronte ai nostri occhi con grande chiarezza, programmato con infinita lucidità. Proprio per questo, rivedendo col senno del poi i primi episodi, si notano indizi piuttosto eloquenti disseminati ovunque: per esempio, sulle pareti del grande dormitorio dove sono ammassati i concorrenti sono distintamente disegnati in maniera stilizzata i vari giochi a cui loro stessi saranno sottoposti; nella manche di Un, due, stella, poi, la terribile Bambola meccanica che scansiona i movimenti dei corridori (a proposito, esiste davvero ma di solito staziona di fronte ad un museo di carrozze a Jincheon, fuori Seul) non mette mai a fuoco Oh Il-nam, il concorrente numero 1 (Gi-hun è invece l’ultimo concorrente, il numero 456, a rappresentare l’alfa e l’omega di questa storia). Il motivo dell’esenzione, per chi è giunto alla fine della serie, è piuttosto evidente.





[Fonte Wired.it]